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Cronaca

La povertà nella Diocesi di Rimini, un preoccupante report della Caritas

Gli stranieri rappresentatno il 67,91% delle persone aiutate e, tra il 2015 e il 2017 c'è stata una lieve flessione degli italiani passati dal 33% al 31,9%

Le Caritas diocesane della Regione Emilia - Romagna pubblicano il nuovo rapporto sulle povertà: “Coraggio, alzati!” I dati sono stati raccolti dai Centri di Ascolto Diocesani del territorio emiliano-romagnolo. Sono oltre 64.300 le persone aiutate dalle Caritas diocesane e parrocchiali presenti su tutto il territorio regionale dell’Emilia-Romagna, circa 20.000 minori. I dati confermano la situazione fotografata dai dati ufficiali Istat che dichiarano il rischio di povertà ed esclusione sociale in regione al 16,1% nel 2016 (dal 13,3% del 2007) e affermano che la povertà assoluta si attesta al 3,3%, pari a circa 65.000 individui. Se si confrontano con le altre regioni l'Emilia Romagna è tra le meno povere in Italia (basti pensare che l’incidenza della povertà per la Calabria è del 35,3%). Dai dati, ma soprattutto dagli incontri diretti che i volontari e gli operatori Caritas hanno con le persone, i poveri di oggi non sono solo coloro che hanno perso il lavoro e non hanno beni economici sufficienti per sopravvivere. La povertà di oggi è caratterizzata da una fragilità di relazioni, rapporti affettivi, familiari, amicali che vanno in frantumi e che lasciano la persona sola. Questa è la preoccupazione più allarmante e per questo gli operatori agiscono cercando di lavorare prima di tutto sulla fiducia, sull’empatia, sul ricostruire un dialogo fatto di possibilità e di speranza.

Secondo i dati, nella Diocesi di Rimini sono state 1830 le persone incontrate, con una flessione rispetto al 2015, che per il 70,4% sono uomini contro il 29,4% delle donne. Nel corso dello scorso anno, i ritorni hanno rappresentato il 58,1% mentre sono stati il 41,9% i nuovi accessi alla Caritas. Gli stranieri rappresentatno il 67,91% delle persone aiutate e, tra il 2015 e il 2017 c'è stata una lieve flessione degli italiani passati dal 33% al 31,9%. Per quanto riguarda le nazionalità, nel 2017 crescono le percentuali di Nigeria, Senegal, Ghana e Mali, si tratta, in gran parte di profughi che hanno terminato i progetti di emergenza nei CAS e non sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto e costruirsi un futuro; ma anche di giovani che non sono mai riusciti ad entrare in nessun progetto, che sono arrivati via terra e non sono stati inseriti in nessun canale di accoglienza e attendono di essere riconosciuti e quindi chiedono un aiuto alla Caritas anche per questo. Complessivamente il 30,2% degli immigrati incontrati nel 2017, erano profughi o richiedenti asilo. 

Rispetto al 2016, nel 2017 si è verificato un andamento diverso per quel che concerne le classi di età, tendenza che si sta confermando anche nei primi sei mesi del 2018: stanno diminuendo i giovani ed aumentando invece gli adulti: crescono coloro che hanno tra i 45 e i 54 anni, quelli tra i 55 e i 64 e gli over 65enni. Per comprendere meglio i dati è necessario incrociarli con la cittadinanza, in questo modo è evidente che c’è molta differenza tra italiani e stranieri: i primi hanno per la maggior parte tra i 45 e i 64 anni, i secondi tra i 27 e i 45. È evidente che tra gli italiani sono in aumento le situazioni di coloro che sono in grossa difficoltà da adulti, perché non solo possono aver perso lavoro, famiglia e amicizie, ma anche speranza: di trovare una soluzione, di ritrovare una stabilità, di riuscire a raggiungere la pensione, di non dover vivere il resto della vita da soli. 

Nella maggior parte (56,7%) sono persone che vivono da sole e solamente nel 33,2% hanno una casa. Di questi, il 2% è nell'abitazione di prorpietà mentre il 18,7% è in affitto, il 3% in un appartamento di un ente pubblico; il 46,5% non ha casa e il 26,3% trova da dormire in un alloggio di fortuna. Sul fronte del lavoro, l'86,6% è disoccupato mentre il 4,4% ha un impiego.

Il primo fattore che spinge le persone a rivolgersi alla Caritas è per problemi economici. Nella maggior parte dei casi si tratta di un’assenza totale di reddito, ma, in molti altri casi, anche di un reddito insufficiente a causa di situazioni lavorative precarie o sottopagate. Negli ultimi mesi stanno emergendo anche situazioni di cattiva gestione del reddito, cioè di persone che hanno fatto investimenti sbagliati o acquisti, come può essere l’intraprendere un mutuo per una casa, che nel momento in cui sono stati fatti c’erano delle condizioni economiche che poi sono cambiate e hanno portato la persona/famiglia, all’indebitamento. La crisi economica non sembra ancora del tutto superata, infatti nel I semestre 2018 si registra un ulteriore aumento di problemi occupazionali. Coloro che hanno perso il lavoro difficilmente sono riusciti a tornare ad essere attivi e, se ce l’hanno fatta, non hanno comunque trovato soluzioni ottimali in grado di sconfiggere la propria situazione di povertà.

Al terzo posto ci sono problematiche legate all’abitazione, anch’esse in crescita ma i problemi abitativi sono anche per coloro che hanno casa, ma vivono in situazioni difficili: affitti troppo onerosi, sfratti, case in situazioni igienico sanitarie discutibili, soluzioni abitative precarie. Al quarto posto, in crescita, ci sono i problemi familiari, a volte sono scaturiti da situazioni di divorzio o separazioni finite male, altre volte da rapporti conflittuali, altre da familiari da assistere in quanto malati. Al quinto posto, in ascesa, ci sono i problemi relativi alla salute. Per una persona con problemi economici i problemi sanitari possono essere diversi: se hanno perso la residenza non hanno più il beneficio di avere un medico di base; se vivono in strada sono più soggetti ad ammalarsi in quanto sottoposti a situazioni di intemperie; se si hanno meno soldi a disposizione non si riesce neppure a prevenire alcune malattie o a mantenere constanti le terapie da seguire nel caso si tratti di malattie croniche.

I problemi relativi all’immigrazione e all’istruzione sono pressoché a pari livello perché con i problemi relativi all’istruzione s’intende la mancanza conoscenza della lingua italiana. Mentre le problematiche relative ai cittadini stranieri, come abbiamo visto nel corso dell’analisi dei dati, sono dovute: sia perché alcuni non sono riusciti a rinnovare il Permesso di Soggiorno nonostante fossero in Italia da molti anni, sia perché hanno avuto il diniego come richiedenti asilo. Al settimo posto, in aumento, abbiamo i problemi relativi alle dipendenze, dato assolutamente sottostimato, infatti sono numerose le situazioni di abuso di alcool, ma queste non sempre vengono registrate, per il semplice fatto che non sempre l’operatore ritiene l’abuso di alcool una vera e propria dipendenza, quanto piuttosto una devianza momentanea dovuta al bisogno di evasione e di distrazione che la persona ha in quel momento. Inoltre il problema della dipendenza da gioco non sempre viene dichiarato dalla persona in ascolto, ma sappiamo essere questo un problema in crescita, seppur nascosto e sommerso.

All’ottavo posto ci sono situazioni di handicap, non si tratta solo di problemi fisici, ma anche mentali. In pochi percepiscono l’invalidità perché non sempre lo stato di disabilità prevede un corrispettivo. È molto difficile agire in queste situazioni, soprattutto se si tratta di persone ancora giovani, perché se è difficile trovare un lavoro per coloro che non hanno problematiche di salute, lo è ancora di più per coloro che hanno qualche disabilità. Anche per coloro che escono dal carcere non mancano i problemi: non sempre le famiglie o gli amici restano accanto superato il periodo di detenzione e non sempre è facile trovare un impiego dopo che si è vissuto in carcere. In questo caso molto utili si rivelano i rapporti e i progetti fatti insieme alle assistenti sociali del UEPE, perché da soli è molto difficile intraprendere strade efficaci. Nella voce “altri problemi” sono raccolti situazioni quali: solitudine, maltrattamenti, prostituzione. Dati non sempre facili da raccogliere ma che, negli ultimi anni, si stanno purtroppo rilevando in crescita.

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