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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Riccione

Da Riccione agli Stati Uniti ha realizzato il suo “sogno americano”: è diventata un'affermata stilista

Loredana Cannia, vice president of design per Donna Karan, racconta la sua ascesa nel mondo della moda e sprona i giovani designer: "Non mollate mai ma sono 3 le parole fondamentali: umiltà, curiosità e persistenza"

“Per quanto riguarda il settore della moda gli americani sono stregati dai designer italiani e, il nostro stile e l’attenzione per i dettagli, sono estremamente ricercati”. Ed è priorpio grazie al suo straordinario talento che Loredana Cannia, siciliana d’origine e riccionese d’adozione, ha conquistato New York affermandosi come una tra le migliori designer di calzature. Dall’esordio, presso Alberta Ferretti, fino alla decisione di trasferirsi negli States dove ha ricoperto il ruolo di design director per brand del calibro di Jill Stuart, Brian Atwood, Michael Kors, Acquaitalia, Stuart Weitzman fino ad essere  vice president of design per Donna Karan.

Dall'Istituto D'Arte Moda e Costume a Riccione fino al Polimoda di Firenze, per concludere poi con un master alla Central St. Martins School di Londra “Oggi vivo ad Harlem – racconta – e sono arrivata nella grande mela 17 anni fa. Tutto è iniziato come una necessità di esplorare altri ambienti: doveva essere una vacanza di tre mesi e, invece, ho trovato la mia dimensione. Non pensavo di rimanere ma, all’epoca, una mia amica aveva un’agenzia di private label di calzature dove ho mosso i primi passi. Da lì il mio stile è piaciuto alle grandi firme e ho cominciato a realizzare le loro collezioni di calzature. Grazie al mio lavoro ho ottenuto il Visto per abilità straordinarie fino ad arrivare ad avere la Green card e, oggi, ho la doppia cittadinanza”.

Dopo quasi 20 anni com’è vivere a New York?
Questa è la mia nuova casa ma non rinnego le mie origini e sono molto legata a Riccione. Non è nostalgia di casa ma, piuttosto, un continuo conflitto: quando sono negli Usa mi manca l’Italia per il cibo e le amicizie. Quando sono a Riccione è il contrario: è come se mi mancasse l’aria. È una opposizione tra le due identità però, anche se scontato, devo dire che mi manca la piada. Qui a New York, di recente, hanno aperto un ristorante che la propone ma non ha nulla a che fare con quella che si mangia a casa.

Come è nata la tua passione per il fashion?
E’ una cosa che avevo fin da bambina e, all’epoca, mia madre era molto perplessa quando le dicevo che volevo fare la stilista. Lei mi avrebbe voluto come medico ma, nonostante questo, ha sempre sostenuto le mie scelte. Poi quando mi sono affermata si è dovuto ricredere e, oggi, è molto orgogliosa di me e dei miei successi e ha capito quanto erano importanti i miei sogni che poi si sono avverati.

Iniziare a lavorare all’estero non è stato facile, come sono stati i primi tempi?
L’inizio è stato particolarmente difficile perché sono stata catapultata in un ambiente estremamente competitivo. Qui bisogna essere costantemente all’altezza delle aspettative e, soprattutto nei primi tempi, la difficoltà della barriera linguistica non era facile da superare. Questo problema, però, mi ha portato a disegnare ancora meglio proprio per inserire nei bozzetti tutti quei dettagli che facevo fatica a spiegare a voce. È stato così che ho trasformato un handicap in una opportunità. Va anche detto che l’ambiente di lavoro è estremamente competitivo, si è sempre sotto pressione e non ci sono momenti di relax ma sotto il profilo delle Risorse umane le aziende sono migliori che in Italia dove, troppo spesso, si sentono storie che fanno inorridire. 

Come è vista la creatività italiana dagli americani?
Siamo ritenuti dei veri e propri artisti e riconoscono che, in questo settore, rappresentiamo un’eccellenza ancora più grande dei francesi. Le aziende del fashion smaniano per poter contare su designer italiani nella realizzazione delle loro collezioni. Poi, comunque, la ricerca dei trend viene fatta principalmente in Italia anche se il mercato è molto diverso. All’inizio della mia carriera newyorkese pensavano che le mie creazioni fossero troppo azzardate per i gusti statunitensi ma, alla fine, quel pizzico di creatività in più unito alla ricerca nel design e nei materiali sono piaciute perché rappresentano quel plus innato del fashion italiano.

Quindi un doppio apprezzamento sia dal mercato americano che da quello italiano?
Esattamente: i prodotti che disegno, anche se sono di un brand statunitense, piacciono anche in Italia proprio per la cura dei loro dettagli, per le proporzioni, l’armonia e i materiali. Questi sono aspetti propri del Made in Italy che danno quel plus che ha permesso alla moda italiana di affermarsi in tutto il mondo e di essere sempre ricercatissima.

Loredana Cannia 1

Un giovane stilista, oggi, avrebbe le tue stesse opportunità se decidesse di lasciare l’Italia per l’America?
Nel mio settore, ad oggi, siamo in 4 o 5 ad essere affermati nel design delle calzature. Quando sono arrivata a New York, nel 2008, era più facile per chi iniziava entrare nelle aziende perché puntavano molto sui giovani che venivano “sponsorizzati” e aiutati. Oggi, invece, per avere quel trattamento devi partire già da un livello alto e difficilmente chi esce dalle scuole di moda ha già quelle abilità che vengono richieste. Allo stesso tempo sono in tanti che vorrebbero fare questo lavoro e, il mercato, non riesce ad assorbirli. Va poi detto che ci sono delle eccezioni: mi è capitato di fare dei workshop intensivi al Savannah College of Art and Design, una delle scuole statunitensi più importanti del settore, ma su un’intera classe solo uno è un vero talento innato.

Da giovane studentessa hai vinto per due volte il concorso Riccione Moda Italia riservato agli studenti delle scuole di moda. Quanto ha contato per te questa esperienza?
Sono stati due momenti bellissimi: da giovane designer piena di sogni mi sono ritrovata in un ambiente estremamente stimolante. Un concorso ben organizzato che, ancora oggi, ricordo con tantissimo affetto. È stato anche grazie alla manifestazione e ai tanti articoli su di me usciti sulla stampa che ho potuto ottenere delle agevolazioni per avere i documenti che mi hanno permesso di soggiornare negli Usa fino ad ottenere la Green Card.

Che consigli ti senti di dare a chi sta ancora studiando e vorrebbe seguire le tue orme?
Non mollare mai. Questa è una carriera con tantissimi ostacoli che ti demoralizzano. Serve tenacia e umiltà di voler imparare. Io stessa, dopo 25 anni di lavoro e i traguardi raggiunti, continuo a scoprire cose nuove. Nel mondo del design di moda non ci sono passaggi da saltare e si continua a crescere giorno per giorno. Se si vuole trasgredire alle regole del settore devi conoscerle perfettamente e, quindi, serve l’esperienza di anni e anni. Sono 3 le parole fondamentali: umiltà, curiosità e costanza. Alle nuove generazioni di stilisti, poi, dico sempre di tornare alle origini e disegnare a mano lasciando perdere il digitale. Il processo creativo non si fa coi software davanti a uno schermo ma a mano con carta e matita. La mia esperienza di studentessa all’Istituto d’Arte di Riccione mi ha aiutata moltissimo perché è stata un’ottima scuola in questo senso. Credo che la tecnologia abbia ucciso la creatività portando via l’anima alla moda, se non si è bravi ad illustrare la propria idea è meglio fare altro.
 

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