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Cronaca

Occupazione e crisi economica, gli allarmanti dati riminesi di FeLSA Cisl

In un anno più 450mila ore cassa integrazione, l'88% dei rapporti di lavoro attivati nel riminese sono contratti a termine, comprese collaborazioni e lavoro in somministrazione

Anni di grande difficoltà ci accompagnano dal 2008. Una crisi forte, che ha comportato una vera e propria ristrutturazione del sistema finanziario ed economico globale, e che ha fortemente coinvolto anche il nostro Paese, senza risparmiare il territorio riminese che vede una buona presenza dell'industria manifatturiera e un forte ruolo del commercio turismo e terziario. Si è dimezzata in questi anni l'occupazione nell'edilizia, la disoccupazione è passata dal 4,8% del 2008 al 11,5% di fine 2013, e si avvicina nel 2014 pericolosamente ai tassi nazionali 13%; fra i giovani ha raggiunto livelli del 30 % fra i 15 -24 anni. Escludendo dal calcolo le migliaia di uomini e donne in cassa integrazione, ad ottobre 2014 sono 7.848.123, le ore di cassa integrazione utilizzate, oltre 450mila in più sullo stesso periodo nel 2013. Vogliono dire circa 5mila lavoratori che sono stati in cassa integrazione in questi 10 mesi, alcuni purtroppo destinati ad incrementare la lista dei disoccupati a seguito di crisi irreversibili delle imprese o al venir meno, a causa delle riforme degli ammortizzatori sociali di adeguate tutele. Il 2014 sul versante occupazione è stato un anno orribile con 2.000 unità lavorative in meno rispetto al 2013. Nonostante ciò il 2015 e 2016 appare in lieve e costante ripresa anche sul versante occupazionale (previsione UNIONCAMERE).

Nel 2013 avevamo, secondo i dati di Unioncamere forniti dall'Istat, 17.000 persone in cerca di occupazione. I dati aggiornati ad Ottobre 2014 fanno risultare un leggero aumento degli avviamenti al lavoro, prevalentemente nell’agricoltura e nei servizi, escluse le attività commerciali e quelle ricettivo-ristorative, dove, invece, il segno meno la fa da padrone, con una diminuzione degli inserimenti lavorativi che va dal 14,2% del commercio al 5,3 del settore ricettivo-ristorativi. Sostanzialmente, però, il quadro che ci presentano i dati è quello di una situazione occupazionale pressoché invariata: le assunzioni vengono compensate dalle cessazioni e le variazioni percentuali, seppur sempre negative, a stento superano l’1%. Va sottolineato, però, che circa l’88% dei rapporti di lavoro attivati riguarda contratti a termine, comprese collaborazioni e lavoro in somministrazione. Il dato allarmante, segnala la FeLSA Cisl, è proprio relativo al largo numero di contratti atipici utilizzati, per di più applicati in modo improprio. Lavoro in somministrazione, lavoro a chiamata, collaborazioni a progetto, ma soprattutto collaborazioni occasionali, voucher e false partite iva. Queste ultime, un fenomeno in crescita negli ultimi anni, coinvolgono lavoratori che possiamo ritenere dipendenti a tutti gli effetti, costretti, però, dal committente del momento ad aprire una partita iva pur di lavorare.

E’ proprio questo il dato più preoccupante - sottolinea Manuel Valeriani  della FeLSA Cisl Romagna - le persone sono disposte a scendere a compromessi talvolta inaccettabili, sottoscrivendo contratti non soltanto impropri e inadatti, ma molto spesso al limite dello sfruttamento, con la sola speranza di avere una minima fonte di reddito. Ad esempio, il periodo delle festività natalizie, come ogni anno, vedrà la proliferazioni di contratti a chiamata e collaborazioni occasionali, soprattutto per l’assunzione di promoter nei centri commerciali. Nella stragrande maggioranza dei casi le persone coinvolte hanno un’età compresa tra i 20 e i 29 anni, persone che molto spesso si rivolgono a noi, al termine della prestazione lavorativa, perché non sono stati pagati”. Lo stesso vale per i buoni lavoro, i cosiddetti voucher, per i quali la legge, con l’obiettivo di portare una minima regolarità in quei settori dove il lavoro nero l’ha sempre fatta da padrone, non ha, però, previsto le misure necessarie per evitare abusi e utilizzi distorti.

Questo - prosegue Manuel Valeriani si è tradotto nel fatto che le aziende, soprattutto negozi, bar e ristoranti, preferiscono pagare il proprio personale con i voucher, piuttosto che garantirgli un contratto di lavoro regolare e sacrosanto. Per di più, per non superare la soglia dei 2.000€ annui previsti dalla legge, il datore di lavoro non solo non assume regolarmente i propri lavoratori, ma ci guadagna doppiamente, pagandoli molto meno di quanto sarebbe dovuto. Nell’ultimo anno per professioni come quella di cameriere, barista, commessa, banconiera, l’utilizzo dei voucher, sta gradualmente prendendo il sopravvento sul lavoro a chiamata, soprattutto per alcune tipologie di attività e in alcuni periodi dell’anno. Fino al 2008 il lavoro in somministrazione veniva, spesso, utilizzato dalle aziende come periodo di prova allungato, garantendo al lavoratore poche certezze sul futuro, se vogliamo, ma un trattamento economico, normativo e previdenziale, paritario rispetto a qualsiasi altro lavoratore dipendente. Oggi le aziende prediligono forme di lavoro che nulla hanno a che vedere con la flessibilità, ma che sfociano nella precarietà, alimentando situazioni lavorative al limite della dignità, certificando, di fatto, nuove povertà e nuove forme di instabilità”. 

"A fianco di questa situazione preoccupante - conclude Manuel Valeriani abbiamo nel nostro territorio, come indicato dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere, il 7,2% dei profili professionali (tecnici in particolare) richiesti dalle imprese, difficili da reperire, situazione confermata anche dalle associazioni di categoria. Questo anche perché, molto spesso, ad esempio le ricerche delle agenzie per il lavoro interinale riguardano profili altamente specializzati ma di età inferiore a 29 anni, persone che, di conseguenza, non possono aver accumulato l’esperienza richiesta. Ma se consideriamo soltanto il dato, palese, della contrazione dell’economia non riusciamo a spiegare un numero così elevato di senza lavoro. In Italia, così come nella nostra provincia, coesistono due fenomeni all'apparenza opposti: alti livelli di disoccupazione (non più solo giovanile, cresce l’esercito dei senza lavoro con età > di 45 anni) da un lato, e difficoltà delle imprese a trovare competenze e conoscenze adatte, dall'altro. In altre parole la crescita economica è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per migliorare l'occupazione. E' da questo fronte che è necessario partire per rendere più stringente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche attraverso una formazione mirata alle necessità delle imprese che intendono assumere o riqualificare il proprio personale in base ai processi innovativi. Per queste ragioni la Cisl sta elaborando un contributo ed una proposta che indirizzeremo a tutti gli attori sociali ed istituzionali per far si che a partire dalle riforma del mercato del lavoro si possa dispiegare con più forza  ed energia il tema delle politiche attive del lavoro nel Territorio Riminese. Proprio in questi giorni è stata approvata la Legge delega sul lavoro, il tanto chiacchierato Jobs Act. La Cisl proseguirà il suo impegno a partire dai decreti delegati che il Governo dovrà emanare affinché si recuperino le criticità e si dia forza  alla estensione delle tutele, eliminazione di tutte quelle forme contrattuali che spesso sfociano in abusi e sfruttamento, nuove misure in tema di politiche attive e servizi per l’impiego"

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