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Saldi, incassI più bassi rispetto al 2016: l'Agenzia Entrate rivede gli studi di settore per negozi vicini Outlet

A farne le spese sono soprattutto i negozi piccoli e medi del settore moda e abbigliamento. Nel confronto con lo scorso anno il 38% delle imprese dichiara stabilità degli incassi, il 39% li ha peggiorati e solo il 21% li migliora

 Arriva la seconda rilevazione nazionale sull’andamento dei saldi, di Federazione Moda Italia. Riguarda anche Rimini e la provincia. Un bel -0,8% rispetto allo stesso periodo del 2016. Dato omogeneo in tutta Italia. A farne le spese sono soprattutto i negozi piccoli e medi del settore moda e abbigliamento. Nel confronto con lo scorso anno il 38% delle imprese dichiara stabilità degli incassi, il 39% li ha peggiorati e solo il 21% li migliora. Le cifre indicano la necessità di rivedere i modelli del sistema commercio, dei punti vendita e, soprattutto, capire che cosa succede in questo settore del mercato.

“Le liberalizzazioni Bersani e Monti si sono fermate di fronte a lobbies e poteri di veto. Banche, ordini professionali e intere categorie di lavoro, ne sono invece rimaste indenni. In un solo settore sono passate completamente e senza resistenze: il commercio al dettaglio. Si apre e si chiude senza alcun controllo, si cambiano destinazioni d’uso dei negozi senza problema. Risultato, desertificazione commerciale delle nostre città e aperture di negozi di bassa qualità - spiega Giammaria Zanzini presidente Federmoda-Confcommercio della Provincia di Rimini e vice presidente Federmoda Emilia Romagna - sul mercato piccoli, medi o Iper e mega centri commerciali, operano con stesse regole e pressione fiscale. Non è libero mercato. È uno strano darwinismo economico, dal destino segnato in partenza. Chi ha economie di scala più grandi, più capitale e credito in banca, vince. Ma come ricordano i dati della CGIA di Mestre, per ogni nuovo posto di lavoro negli Iper, se ne sono persi 4 nei negozi tradizionali”.

"Non sono lamenti da commerciante “piagnone”, ma di dati di fatto economici. Scorriamo le analisi fatte dall’ordine dei commercialisti riminesi sul reddito di un picco imprenditore - continua -. Con gli obblighi annuali di iscrizione alla Camera di Commercio, contributo Conai, imposta di bollo sui libri contabili, tasse ed accise su carburanti, energia elettrica, assicurazioni, la sua pressione tributaria è del 40,2%. Ma quella fiscale complessiva di imposte e contributi prelevati dallo stato sale di fatto fino al63%. Si lavora 229 giorni l’anno per pagare le tasse. Si parla tanto di semplificazione fiscale e invece il 2017 ci porta 4 obblighi in più facendo arrivare a 78 gli adempimenti di un negoziante. Costo medio di 7000 euro per ogni micro/piccola impresa, a sentire sempre la Cgia di Mestre".

"Ma dell’insostenibilità della situazione sembra essersi accorta persino l’Agenzia delle Entrate, che ha riconosciuto l’eccessiva concorrenzialità dei Factory Outlet Center nei confronti della distribuzione tradizionale. Ci è stato riconosciuto un importante principio di giustizia fiscale – sottolinea Zanzini - correttivo che permette un abbattimento percentuale dei ricavi, calcolato in base alla distanza, del negozio dagli Iper, massimo 90 km, da inserire negli studi di settore per moda, tessile, abbigliamento e calzature. Non si tratta di aprire scontri tra dettaglianti, Outlet e Factory outlet village, loro fanno il loro mestiere e lo fanno pure bene, ma di mettere tutti i soggetti del mercato nelle condizioni di operare con pari opportunità. Non vogliamo norme protezionistiche per i più piccoli ma aprire un dialogo e una programmazione commerciale comune".

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