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Cronaca

Scuola, l'associazione Adl Cobas: "Educatori e utenti dei servizi abbandonati dalle istituzioni"

"Il 20 di aprile sono arrivate le buste paga del mese di marzo e con loro i primi dolori per molti educatori scolastici e domiciliari della Provincia riminese"

"Il 20 di aprile sono arrivate le buste paga del mese di marzo e con loro i primi dolori per molti educatori scolastici e domiciliari della Provincia riminese - scrive in una nota Adl Cobas - Dobbiamo dire che l'incertezza e il dubbio hanno caratterizzato quest'ultimo mese. Un susseguirsi di comunicazioni ha affollato le nostre caselle e-mail: cooperative che dapprima dichiarano di scaricare ferie e permessi e poi di ricorrere al FIS, altre che avvertono con dispiacere di non avere liquidità disponibile e di non poter pagare il FIS nella busta paga di marzo affrettandosi a spiegare ai lavoratori la procedura di anticipazione dell'ammortizzatore sociale da parte delle banche, altre che rivedono le proprie decisioni e anticipano il FIS. L'unica certezza che oggi abbiamo è la disomogeneità che ha contraddistinto la gestione di questa emergenza sia da parte delle Cooperative che dei Comuni del territorio di Rimini e provincia.

Non ci sono state regole chiare a livello nazionale per una gestione del lockdown che non facesse ricadere il suo caro prezzo sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. L’unica decisione chiara e tempestiva è stata la chiusura delle scuole che ha di fatto lasciato in balia degli eventi migliaia di lavoratori in appalto. Le Cooperative che gestiscono i servizi del territorio riminese hanno confermato la regola, adottando modalità confuse e contraddittorie nell’organizzazione del lavoro e nelle comunicazioni agli stessi  lavoratori.

Ci sono stati servizi che in un primo momento sono rimasti attivi e in seguito chiusi, troppi appelli al buon senso e alla buona volontà degli operatori sociali dei servizi domiciliari che hanno dovuto richiedere con forza DPI e protocolli di comportamento per continuare a lavorare in sicurezza anche durante le fasi più acute della pandemia. È vero che è stata la prima volta per tutti ma sapere di lavorare in sicurezza oppure dover sospendere la propria attività, di ricevere lo stipendio oppure di doversi recare in banca per l'anticipo, cambia di molto per un educatore che è un lavoratore e allo stesso tempo un cittadino con le responsabilità che questo comporta in termini di pagamento di utenze, affitto, tasse, mutuo..

E’ evidente anche che i Comuni stanno complicando ulteriormente la condizione degli educatori scolastici tardando l'attivazione del lavoro a distanza, chiudendo ogni disponibilità a rivedere la rimodulazione del servizio fissata in un massimo di 5/6 ore settimanali per studente con disabilità, a fronte di 10/15 ore che l'educatore svolgeva a scuola e negando ogni coinvolgimento e confronto con gli educatori e le educatrici scolastiche, che riteniamo un comportamento inaccettabile.

Il Comune di Rimini è stato il primo a far partire il telelavoro per gli educatori scolastici e lo ha fatto dopo 1 mese dalla chiusura delle scuole, mentre gli altri Comuni hanno avuto addirittura tempi più lunghi: il risultato è che a metà aprile ancora il lavoro a distanza per alcune educatrici non era partito. Una disomogeneità nei tempi e nel ripensamento del servizio che ha pesato sugli stessi lavoratori che si sono sentiti fortunati o meno a seconda del Comune in cui prestano servizio. Una certezza è stata il numero di ore di lavoro a distanza per educatore che in tutti i Comuni non è mai andato oltre le 6 a studente con disabilità, nonostante le richieste di aumento del monte ore da parte degli stessi educatori e in alcuni casi delle scuole in cui lavorano. Aumento inoltre giustificato dal lavoro non frontale per il coordinamento e la progettazione, come anche per la preparazione del materiale e delle attività necessarie a far trascorrere il tempo in maniera piacevole ed educativa ai bambini e ai ragazzi con cui lavoriamo.

Forse gli stessi Comuni non hanno capito l'importanza del lavoro a distanza che è in prima istanza uno strumento per mantenere la relazione con gli utenti, ma che è anche un mezzo per dare supporto psicologico alle famiglie. Il punto però è anche un altro: si tratta infatti dei nostri stipendi, dei nostri diritti e della nostra sopravvivenza. Il lavoro a distanza permette il pagamento del servizio educativo e dunque consente alle cooperative di pagare all'educatore lo stipendio mensile senza dover ricorrere agli ammortizzatori sociali. In una battuta il telelavoro permetterebbe il risparmio allo Stato degli ammortizzatori sociali per la nostra categoria di lavoratori e consentirebbe all'educatore di continuare a lavorare vedendosi pagato interamente lo stipendio mensile.

Perchè allora i Comuni hanno scelto di non percorrere questa strada e di non assicurare il servizio agli studenti con disabilità e il 100% dello stipendio agli educatori scolastici dall’inizio dell’emergenza sanitaria? In fin dei conti i Comuni avevano già messo a bilancio la spesa per il servizio educativo e se le scuole fossero rimaste aperte avrebbero continuato a pagare il servizio alle cooperative appaltanti. Non possiamo dunque chiuderci gli occhi di fronte alle responsabilità delle amministrazioni locali che hanno contribuito a lasciare gli educatori scolastici senza stipendio o addirittura con buste paga in negativo per il mese di  marzo. Eppure la possibilità di rimediare c'è ancora decidendo di applicare l'art. 48 del Cura Italia che autorizza la rimodulazione dei servizi e il pagamento al 100% per i suddetti servizi, superando così le diseguaglianze inaccettabili che si sono verificate sia per gli utenti che per le lavoratrici e i lavoratori impiegate/i nei servizi.

L'art. 48 del dl. Cura Italia permetterebbe di superare la disomogeneità nella gestione della rimodulazione dei servizi, di garantirne per quanto possibile la continuità e al contempo la garanzia reddituale degli addetti e di assicurare i diritti dei lavoratori e dei bambini e ragazzi disabili, perchè in una società che non lascia indietro nessuno non è possibile contrapporre i diritti di uno a quelli dell’altro".


 

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