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Cronaca

Disabile discriminata sul luogo di lavoro e omosessuale costretto a licenziarsi

In tutto sono stati 34 i casi seguiti dalla consigliera di parità di Rimini, 30 riguardanti donne e quattro uomini

C'e' il caso di una lavoratrice con disagio psichico che ha ricevuto tre lettere di contestazione senza fondamento dal manager di un'azienda attiva nel commercio. All'inizio il datore di lavoro non voleva fare nulla, ma ora il manager è a casa e la lavoratrice è stata reintegrata. C'è invece un lavoratore discriminato per il suo orientamento sessuale, che però ha rinunciato a rivalersi sul datore di lavoro: "La menzogna alla base del licenziamento era evidente, ma poi il lavoratore ha lasciato stare". Ma ci sono anche tre lavoratrici passate dal part time al tempo pieno, a conferma che si sta aprendo "uno spiraglio di cambiamento". In concomitanza con la Giornata internazionale della donna, la consigliera di parità di Rimini, Carmelina Fierro, illustra alla stampa il resoconto della sua attività nel 2017. In tutto sono stati 34 i casi seguiti, in calo rispetto al 2016 anche perchè in quell'anno tre erano legati a periodi precedenti, 30 riguardanti donne e quattro uomini. Per un'età media di 41 anni, cresciuta rispetto ai 39 del 2016. Nel 20% dei casi si tratta di un laureato e spesso di donne con esperienze di lavoro pluriennali, per cui "sono a rischio risorse professionali". Più interessate le medio-grandi aziende, con oltre 100 dipendenti, che coprono il 55% dei casi, mentre i settori prevalenti sono quelli del commercio, del terziario e della Pubblica amministrazione. Nel 24% dei 34 interventi totali della consigliera di parità si tratta di molestie, in crescita del 10%. Dalla battuta del collega a sfondo sessuale, come quella denunciata qualche mese fa dalla stessa Fierro: "Ti piace la banana?"; fino alla discriminazione a seguito del rifiuto ricevuto che arriva a culminare nelle lettere di contestazione e nel licenziamento.

"La molestia è fatta anche di derisioni e battute, senza pensare a chi le riceve. I miei interlocutori - prosegue Fierro - non sono studenti ma datori di lavoro, uomini adulti che non si rendono conto del pericolo di certe frasi, ammiccamenti e comportamenti". Con due casi collettivi in una azienda. In quasi la metà dei casi, il 46%, la motivazione dell'intervento si lega alla conciliazione dei tempi di lavoro, che rappresenta il "disagio maggiore" e "non è sempre legato al primo anno di maternità": infine un 15% riguarda il rientro dalla maternità e un altro 15% la progressione di carriera. Per quanto riguarda gli esiti, prosegue la consigliera, per 10 casi si arriva ad "azioni positive" che "promuovono il benessere nell'azienda": dopo il primo colloquio e la delega affidata, la consigliera convoca lavoratrice e datore di lavoro e inizia la valutazione e l'azione di buone pratiche. In 15 casi, "ed è una novità", alla donna è bastato fornire informazioni per la promozione del benessere lavorativo. E così "si sperimentano forme organizzative diverse". In sette casi si è arrivati invece al verbale di conciliazione, che "non è un esito positivo: a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro arriva un riconoscimento economico". Infine in due casi è arrivata la valutazione di non discriminazione. Fierro spiega anche che nel 2016, e per il 2017 i numeri dovrebbero essere simili, ci sono state 264 dimissioni tutelate, in cui la donna lascia il lavoro durante il primo anno del figlio. In gran parte si tratta di un problema di conciliazione, più raramente di un passaggio ad altra azienda. 

Comunque, sottolinea la consigliera, "ho cominciato a vedere segnali di un cambiamento di pensiero sulla donna". E infatti dalla conciliazione si arriva sempre più alla condivisione, e dalla riduzione del tempo alla flessibilità. Emblematici i casi delle tre lavoratrici passate dal part time, dunque con esclusione dalla carriera e pensione più bassa, al full time con flessibilità in entrata e uscita. E dalla "interpretazione individuale", termina Fierro, si passa alla "responsabilizzazione aziendale". In merito qualche mese fa Confindustria e sindacati hanno siglato un accordo sulle molestie e violenza sui luoghi di lavoro, che va reso operativo. Per gli enti pubblici è invece previsto il Cug, il Comitato unico di garanzia. La discriminazione si declina in demansionamento, contestazioni, trasferimento e licenziamento. E le priorità su cui agire sono il tasso di occupazione femminile, l'equità nei carichi di lavoro, l'equa retribuzione e la presenza nei vertici aziendali.
(Agenzia Dire)

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