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Cronaca

Gli ultimi sms di Cristina: "Non voglio che mio figlio cresca in un posto dove il padre urla, mortifica e picchia la madre"

Nuovi addebiti a carico del presunto autore del femminicidio di via Rastelli dove la vittima è stata prima colpita alla testa con un mattarello e poi finita con una serie di coltellate

Le verifiche della squadra Mobile sull'omicidio della 33enne Cristina Peroni da parte del marito 47enne Simone Benedetto Vultaggio hanno portato una nuova luce sul delitto che si è consumato a Rimini lo scorso 25 giugno in via Rastelli: non è stato "il frutto di una frustrazione fortissima e però determinante", ma un'azione giunta "all'esito di una serie di condotte reiterate e già pienamente maltrattanti". Nella nuova ordinanza cautelare del Gip di Rimini notificata in carcere all'uomo si sottolinea come i maltrattamenti nei confronti della vittima erano iniziati con la convivenza: vessazioni di natura sia fisica che psicologica quelle delineate dagli inquirenti tra "costanti atteggiamenti denigratori e offensivi", schiaffi e botte anche quando lei era incinta o mentre allattava il piccolo. Lui sarebbe pure giunto a stringerle le mani al collo per soffocarla. E una volta le avrebbe puntato una pistola contro minacciandola di morte. Futili i motivi che, prosegue l'accusa, "lo animavano: perlopiù l'irritazione legata alla gestione del piccolo che lui avrebbe voluto a suo modo. E proprio l'ultimo episodio che lo aveva portato a uccidere la moglie, era scattato dal fatto che lei non gli avesse fatto tenere il bimbo in braccio. Il Gip nella sua nuova ordinanza cautelare ha dato atto che, nell'ambito di "gravi indizi di colpevolezza", la Procura con questa nuova richiesta restrittiva, ha consentito la "comprensione di un contesto estremamente più grave di quanto delineato inizialmente".

Femminicidio in via Rastelli a Rimini

Nel complesso è emersa una "crudeltà che già prima della gravidanza lo contraddistingueva" e che si è manifestata attraverso un "dolo unitario e abituale" messo in campo per mantenere "un contesto di convivenza doloroso, di prevaricazione e soggezione". La donna, "inizialmente innamoratissima" del compagno, quando aveva realizzato la portata della situazione era cambiata radicalmente virando verso un atteggiamento di "paura per il figlio e per sé". Per ricostruire dopo la morte l'entità dei contestati maltrattamenti, gli investigatori hanno sentito familiari, amici della defunta e colleghi di lui; hanno raccolto le confidenze che la vittima aveva fatto attraverso i messaggi telefonici, hanno analizzato i cellulari di vittima e 47enne e hanno acquisito la relazione sulle dichiarazioni rilasciate dalla Peroni al centro anti-violenza dello sportello del Comune di Monterotondo (Roma). Il 12 febbraio la vittima aveva scritto questo messaggio a un'amica: "Se muoio mio figlio va affidato a mia mamma, nel mio telefono ci sono varie prove per il giudice: io me ne voglio andare da qui, non so come fare".

Il 7 marzo a un'altra amica aveva inoltrato un messaggio inviato al compagno in cui aveva scritto tra le altre cose: "(…) Simone io non riesco a tornare a Rimini, non voglio stare con te e non voglio che (…) cresca in un posto dove il padre urla, mortifica e picchia la madre (…) con tutte le volte che mi hai mortificata verbalmente e mi hai alzato le mani mi hai allontanata, hai ridotto una briciola il mio cuore". È stata la madre della vittima a riferire l'episodio delle presunte minacce con la pistola: la figlia glielo aveva raccontato a febbraio. Lo stesso episodio lo ha riferito un'amica che aveva incontrato la 33enne a maggio a un funerale. Non solo: un collega di lavoro del 47enne ha detto che l'uomo gli aveva confidato l'intenzione di "comprare una pistola e recarsi a Roma".

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