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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Gnassi critico su SanPa di Netflix: "Non analizza la comunità nel suo complesso"

Per il sindaco di Rimini il docufilm si sofferma su un capitolo preciso della storia della storia della comunità senza leggerne i livelli di sviluppo le evoluzioni

Continua a far discutere il docufilm su San Patrignano messo in onda su Netflix che, dalla sua uscita, ha suscitato una lunga serie di reazioni pro e contro la comunità di recupero. Se è vero che nelle cinque puntate non emerge nulla di nuovo rispetto a quello che nel corso degli anni tutti sapevano già, quello che ha suscitato indignazione è stato forse il metodo narrativo con la stoccata finale sulle illazioni sulla malattia che ha portato Vincenzo Muccioli alla morte e le voci sulla sua presunta omosessualità. L'ultimo a schierarsi a difesa di San Patrignano è stato il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, che ha ricordato come "la città, la Regione e l'Italia hanno già espresso il loro giudizio definitivo. E lo hanno fatto sia con atti di evidente, fortissima simbologia, sia con opere e servizi dall’enorme impatto sulla vita individuale e collettiva del nostro territorio e con processi, progetti e azioni tuttora in corso. Penso all’assegnazione del Sigismondo d’Oro nel 2010, con le motivazioni espresse dall’allora Amministrazione comunale: “Per avere creato sul territorio una comunità per il recupero delle tossicodipendenze, nata dalla volontà e dall’impegno del fondatore, poi estesa in altre parti d’Italia con il contributo di centinaia di sostenitori, volontari e collaboratori, mettendo a disposizione sostegno abitativo, assistenza sanitaria e percorsi educativi…Per avere accolto e aiutato con gratuità migliaia di giovani a uscire dalla tossicodipendenza, seguendoli in un percorso di recupero e reinserimento nella vita sociale”. Oppure l’intitolazione per meriti di una via cittadina a Vincenzo Muccioli nel 2009. Poi c’è la sostanza dell’integrazione dei servizi socio sanitari e le convenzioni con la Sanità regionale, da oltre 20 anni a questa parte. San Patrignano è stata e continua ad essere la risposta ad una delle domande più urgenti dei nostri tempi, quello delle dipendenze. Lo ha fatto, e continua a farlo, con un approccio che tiene insieme la vocazione all'aiuto verso le categorie più deboli e marginali (ricordo, per fare un esempio emblematico e magari non noto, i transgender malati di AIDS che negli anni 80 (rifiutati quasi da tutti) trovavano nella comunità una sorta di hospice in cui trascorrere gli ultimi giorni di vita)".

"Lo ha fatto e continua a farlo - prosegue Gnassi - con le capacità e le competenze per fare sistema con il territorio, con strutture e servizi e con la produzione di prodotti agroalimentari, artigianali di Sanpa, che fanno parte della nostra quotidianità e che contribuiscono all’autofinanziamento della comunità. C’è poi nell’evoluzione, dei processi e dei rapporti con il territorio, persino l’aver affrontato il tema di come l’arte, la cultura possano, da un lato, sostenere una comunità terapeutica e, dall’altro, una riqualificazione di un ambito urbano e storico. Mi riferisco alla nuova, straordinaria esperienza culturale e sociale del PART, proprio in piazza Cavour a Rimini, individuata da ArtTribune come miglior museo del 2020. Il giudizio sulla comunità, e il suo valore, è nelle cose da parte dei riminesi. Ed è una convinzione sedimentata, profonda, ricca di vicende e percorsi complessi e, non nascondiamocelo, anche contraddittori. E questo nessuno lo può negare né togliere. Voglio essere assolutamente esplicito. Se per anni una sorta di ‘confine’ era segnato al di là e al di qua della collina di Coriano, è stata la gente - termine solitamente usato in tono o spregiativo o populista, ma in questo caso no - a cancellare quel confine fino a farlo scomparire. Da sindaco difendo questa conquista, insieme a chi mi ha preceduto, accanto alle istituzioni ad ogni livello. Non siamo stati né pazzi né ciechi. Ho sempre guardato a San Patrignano, a Letizia Moratti, ai ragazzi ospiti e alla governance della comunità, in questi anni a Palazzo Garampi, con gratitudine e un convinto spirito di collaborazione. Penso di non avere fatto altro di ciò che era ed è necessario per Rimini e per i riminesi. E per tante facce, volti e cuori di ragazzi che sperano di tornare alla vita. Su questo non v’è alcun dubbio". 

"La serie di Netflix - spiega il sindaco di Rimini - si concentra sul periodo tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ‘90 della Comunità. E’ un capitolo preciso della storia della storia della comunità, dalla nascita di San Patrignano alle drammatiche vicende giudiziarie fino alla scomparsa del suo fondatore Vincenzo Muccioli. Ci mancherebbe che un dibattito su un periodo storico e su vicende complesse possa essere sottoposto a censure (inimmaginabili e impossibili) e che non susciti riflessioni e dibattito. Rimini stessa, bombardata e distrutta, non è stata avvezza a riflettere sul proprio passato, considerandosi dopo la distruzione bellica quasi una ‘città nuova’, senza alcuna storia alle spalle. Sinceramente non posso né voglio comprimere la discussione o bollarla in alcun modo. Mi si permetta di dire sul docufilm, tecnicamente ben fatto, che la sua narrazione ha orizzonti e limiti (che peraltro porta con sé ogni tipo di narrazione filmica o documentaristica), che sono quelli di non coglierne della comunità la complessità, il leggerne i livelli di sviluppo, le evoluzioni, che l’hanno portata dal 1978 ad essere quella che è oggi, una realtà composita, fluida, sempre in movimento per intercettare i nuovi bisogni legati ai drammi delle dipendenze, vecchie e nuove e per provare a mettere in campo risposte efficaci per il recupero degli ospiti. Il docufilm, a fronte di questa complessità, che è di fatto il nucleo dell’esperienza e della ricchezza di San Patrignano, ne mette a fuoco solo una parte, della quale tende a dare la connotazione di rappresentazione assoluta. Come se San Patrignano fosse solo ed esclusivamente la parte narrata. Su cui peraltro, come è giusto, si è espressa un quarto di secolo fa la magistratura. E viceversa non considera del tutto anche l’aspetto della forza, della vitalità, dell’energia e della passione di un’esperienza comunque unica".  

"La storia va contestualizzata. Ho 50 anni e chi ha la mia età ricorda bene quegli anni. Non posso nell’analisi più lucida che devo provare ad avere nascondere anche il piano personale con cui ho vissuto quegli anni, prima da adolescente, poi ragazzo più grande. Conoscenti, parenti e amici o morti di eroina o suicidatisi per non saperne uscire o entrati e usciti dalle comunità e poi persi. Non dimentico il dolore delle famiglie, ne porto ancor segni e ricordi oggi. L’Italia, lo Stato, allora, non aveva alcuna politica ed azione di contrasto alle droghe, di fatto inerme, incapace come preso alla sprovvista davanti all’eruzione nelle piazze e nelle vie delle città di eroina e cocaina. Nascevano sul territorio le prime risposte. E anche Muccioli e Sanpa diedero una risposta, nuova e pionieristica in un mondo pieno di violenza e morte per strada. Ricordo bene come non vi era alcuna struttura ad accogliere ed intervenire di fronte alle devastanti crisi di astinenza. Poi le due distinte fasi processuali, i partiti pro e contro San Patrignano, il dibattito sugli approcci, la politica che dibatte ma anche si insinua e strumentalizza, la figura di Muccioli icona internazionale, la tragica uccisione di Maranzano. Le domande che mi facevo allora sono quelle che mi faccio adesso, anche se le risposte non sono esattamente le stesse. Vedere il docufilm le ha riproposte, le ripropone, pur se nei limiti e in passaggi probabilmente troppo banalizzati o sbilanciati in una direzione, come a dar l’idea a volte che quei fatti stiano avvenendo adesso. Credo che la abbia espressa il giornalista Luciano Nigro, la necessità finale di un giudizio equilibrato su quegli anni e quelle vicende. Ho notato che viene richiamata più volte, nelle puntate, la parola ‘vita’. Con la sua sfuggevolezza, la sua impossibilità di essere afferrata compiutamente, con le sue contraddizioni. Ritornare a quel tempo è legittimo, e farsi domande anche. Ma facendo attenzione, molta attenzione che non si faccia l’errore di giudicare e attualizzare con i commenti dell’oggi, dando l’idea di un tutt’uno del tempo passato e presente, fasi e fatti che possono avere spiegazioni vicine alla verità solo se esattamente contestualizzati".  

"L’ultima cosa che mi permetto di dire è comunque di non perdere di vista l’obiettivo, che è San Patrignano e i suoi 1200 ragazzi. Sono loro. Sarebbe incomprensibile, e un danno enorme, se le riletture ex post, più o meno interessate, più o meno nostalgiche, più o meno parziali, ledessero la comunità. Sarebbe come danneggiare noi stessi. Non esistono due San Patrignano: esiste un solo seme che nel tempo è diventato un albero forte. Esiste una sola San Patrignano di cui come detto occorre volere e avere la capacità di coglierne la complessità e la ricchezza della comunità. Un progetto che negli anni ha saputo strutturarsi su tanti fronti di attività diverse  fino a diventare patrimonio comune di un intero territorio, di un intero paese, sempre facendo perno sul recupero degli ospiti. Facciamo attenzione alla fragilità di questi ragazzi che stanno ancora stanno compiendo un percorso di recupero e che strumentalizzazioni e colpi alla comunità possono colpirli e piegarli". 
 

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