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Cronaca Misano Adriatico

Il killer di Misano preso in Svizzera stava per scappare negli Usa con documenti falsi

Si aggiungono nuovi dettagli sulla latitanza di Paoulin Nikaj che, subito dopo l'omicidio di Nimet Zyberi, ha potuto contare su una fitta rete di parenti e amici per cercare di assicurarsi l'impunità

Una lunga fuga, durata 26 giorni, per Paoulin Nikaj, l'albanese 35enne accusato di essere l'autore dell'efferato omicidio del connazionale Nimet Zyberi avvenuto lo scorso 17 marzo nel parcheggio del Conad "Rio Agina" di Misano. Emergono nuovi dettagli sulla latitanza del killer arrestato venerdì 11 aprile dalla polizia svizzera, su mandato dei carabinieri, nei pressi di Berna. Il 35enne, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, subito dopo aver freddato il suo connazionale con 7 colpi di pistola, si è dimostrato un omicida lucido e particolarmente accorto potendo contare su una fitta rete di parenti e amici per garantirsi la latitanza. Dopo l'omicidio, l'attenzione degli inquirenti si era concentrata immediatamente sulla moglie del 35enne che, insieme ai figli di 4 e 2 anni, si era allontanata da Misano proprio il giorno della sparatoria. La donna si era diretta a Senigallia, presso dei parenti, ed era stata bloccata dai carabinieri. In suo possesso i militari dell'Arma avevano trovato il passaporto di Nikaj e delle carte di credito che avrebbero permesso al killer di proseguire la sua fuga. Gli inquirenti, sospettando che i familiari potessero proteggere l'uomo, hanno quindi iniziato a monitorare tutta la fitta rete di parentele del 35enne arrivando così in Umbria dove, nei pressi di Foligno, alcuni giorni dopo l'omicidio era stata ritrovata la Citroen C4 utilizzata dal fuggitivo ma non l'arma utilizzata per il delitto. Dell'albanese, tuttavia, si erano nuovamente perse le tracce ma, una successiva ricostruzione, ha permesso ai carabinieri di arrivare in Lombardia, tra Bergamo e Varese, dove l'assassino poteva contare su altri parenti.

A 24 ore dall'omicidio di Zyberi, quindi, il suo killer era già a ridosso del confine svizzero e, dopo pochi giorni, è riuscito ad entrare clandestinamente nella Confederazione Elvetica per dirigersi a Berna da altri parenti e da dove, secondo l'ipotesi investigativa, stava per preparare una fuga oltre oceano alla volta degli Stati Uniti dove vive una sorella. I carabinieri hanno quindi messo sotto stretto controllo i parenti lombardi dell'albanese notando che, fin troppo spesso, organizzavano una serie di viaggi in Svizzera e, più precisamente, nei pressi di Berna riuscendo così a chiudere il cerchio. Sospettando che Zyberi si trovasse nella città svizzera, nella mattinata di venerdì i militari dell'Arma hanno allertato i colleghi che, verso mezzogiorno, hanno fatto scattare il blitz che ha portato all'arresto del 35enne. L'albanese si trova tutt'ora nelle carceri elvetiche e, al momento, pare che servirà almeno un mese per concludere le pratiche di estradizione.

Le indagini dei carabinieri hanno permesso di accertare che tutto il clan familiare ha aiutato il killer nella sua fuga procurandogli, tra le altre cose, l'ingente quantità di denaro necessaria per la sua latitanza oltre a un set completo di documenti falsi albanesi per 10mila euro da utilizzare, presumibilmente, per raggiungere gli Usa. Secondo alcune indiscrezioni la moglie di Zyberi e i figli, attualmente ospiti in una comunità protetta, erano all'oscuro dei movimenti dell'uomo ma, nei piani del killer, lo avrebbero poi raggiunto in America una volta che il 35enne fosse riuscito ad espatriare dalla Svizzera. Al momento la donna non risulta essere indagata ma, dalle prime luci dell'alba di sabato, i carabinieri sono al lavoro per rintracciare tutti i favoreggiatori del killer e stanno eseguendo una serie di perquisizioni domiciliari in 16 abitazioni tra le province di Perugia, Bergamo, Varese e nei comuni di Legnano e Misano. Si tratta di personaggi che hanno aiutato Zyberi nella sua latitanza e, al momento, si sta valutando di iscrivere 9 persone nel registro degli indagati per favoreggiamento.

"Siamo riusciti a ricomporre un puzzle di estrema difficoltà - ha commentato il colonnello Luigi Grasso, comandate provinciale dei carabinieri di Rimini - che ci ha portato a lavorare in varie zone dell'Italia e dell'estero. Subito dopo l'omicidio, abbiamo messo sotto controllo il contesto familiare dell'indagato che, avvalendosi dell'aiuto di parenti e amici, è sempre riuscito a sfuggirci dalle mani. Allo stesso tempo, per paura che la faida tra le due famiglie potesse esplodere nuovamente, abbiamo tenuto d'occhio anche i familiari della vittima".

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