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Cronaca

Luce sul Natale dell'era covid: "Sperare nella realtà di una vita nuova e buona si può"

Così il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi nell'omelia della messa di Natale

"Sperare nella realtà di una vita nuova e buona si può". Così il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi nell'omelia della messa di Natale. Anche la Diocesi sta facendo i conti con il primo “Natale in rosso” della storia. Le doverose limitazioni alla mobilità disposte dal governo nazionale, con l’obiettivo di contenere il più possibile la diffusione del Covid, non hanno certo smorzato il desiderio dei riminesi di celebrare la nascita del Salvatore.

Partendo dal presupposto normativo che la partecipazione ai riti religiosi è una delle necessità autodichiarabili nel modulo imposto nei giorni di lockdown (prefestivi e festivi) dal cosiddetto “Decreto legge di Natale” (18 dicembre 2020), ne consegue che “si potrà uscire di casa per andare a Messa”. Non a caso, le parrocchie e lo stesso vescovo si sono organizzati per tempo, al fine di consentire ai fedeli la partecipazione ai riti del periodo natalizio, a cominciare da quello della Vigilia, anticipato causa coprifuoco.

Il buio del Natale condizionato dalla pandemia, "squarciato da una luce avvolgente", quello dell'annuncio della nascita di Gesù. Rimini come Betlemme 2020 anni fa. Una luce che "si inserisce nell’umanità in modo umano. Di più: si introduce nella storia per ultimo e per gli ultimi, in assoluta umiltà e radicale povertà". Lambiasi invita ad una riflessione: "In cosa consiste la salvezza del Bambino-salvatore, se ben poco è cambiato in questi duemila anni: se si soffre ancora, se si muore ancora, se ancora si rimane smarriti e sgomenti per tanta, troppa! ingiustizia che ancora domina il mondo? Il Natale ci autorizza a rispondere così: questo ‘scandalo’ dipende dal fatto che il modo scelto da Dio per salvarci non è stato quello della forza, ma della debolezza. Non della sapienza, ma della stoltezza. Non della potenza, ma della povertà. E, soprattutto, quello della condivisione".

"È un po’ la differenza che c’è tra un luminare della medicina e una persona cara: un fratello, un amico. Il luminare qualche volta risolve il problema, riesce a guarire. Il fratello, l’amico – se sono veramente tali – ci rimangono accanto anche quando il problema non si risolve. Semplicemente lo condividono con noi - prosegue -. Ne fanno parte della loro stessa vita quotidiana. Il luminare può aiutare qualche volta. La persona cara rimane sempre al tuo fianco, anche quando, risolto un problema, ne sorgono altri. Dio ha scelto il secondo modo - tra i due appena ricordati – non perché non voglia aiutarci nei nostri affanni e malanni quotidiani. Ma perché vuole fare, anzi vuole essere ben di più per noi: appunto un fratello, un amico. Per cui non ci dà semplicemente un aiuto, o qualcosa. Ci dona tutto: se stesso".

Una luce, quella di Gesù, "liberi di accoglierla o di rifiutarla. Liberi di vagare nel buio urtando la realtà, senza capirla, e rimanerne feriti. Oppure liberi di riconoscere nella Parola “la vita“ e nella vita “la luce vera che illumina ogni uomo”. Ma siamo proprio sicuri che la luce stia sfolgorando, quando bisogna sgranare gli occhi nella nebbia, se non addirittura barcamenarsi nel buio pesto di questa triste, devastante pandemia? Eppure una luce si è accesa nella notte della storia, e continua ancora a brillare. È la luce della stella di Natale".

Natale, ha rimarcato Lambiasi, "è una parola di luce e di vita. Questa Parola è la luce che ci occorre per vivere in un tempo drammatico di pandemia globalizzata, come il presente. E per rispondere alla domanda che ribolle da sempre nel cuore umano, e che di questi tempi si è fatta ancora più incalzante: che senso ha vivere se poi si vive solo per morire? Veniamo al mondo con una prepotente fame di immortalità. Entriamo nella vita con una insaziabile sete di bene e veniamo aggrediti dagli insulti osceni del male. Più andiamo avanti negli anni e più ci morde la penosa sensazione di non bastare a noi stessi. Bramiamo più vita e ci avviciniamo sempre più velocemente alla morte. Aneliamo alla verità e sperimentiamo falsità e lurida menzogna. Amiamo amare ed essere amati. Insomma nutriamo un sogno struggente e un bruciante bisogno di felicità. Ma prima o poi ci rendiamo conto che la lacerante nostalgia di Infinito, di Assoluto, di Eterno che ci avvampa in cuore è la firma di Dio al capolavoro che lui stesso vuole fare di ognuno di noi. Allora ci ritroviamo a dovere onestamente riconoscere che solo Dio può placare l’inquietudine che ci abita e irresistibilmente ci agita".

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