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Cronaca

Monsignor Lambiasi in Duomo per il rito di commiato del vescovo emerito De Nicolò

Una funzione officiati nel rispetto delle misure anticontagio

Si è tenuto martedì mattina in Duomo il rito di commiato per la sepoltura del vescovo emerito Monsignor Mariano De Nicolò,deceduto dopo una lunga malattia. Una funzione officiati nel rispetto di tutte le norme anticontagio, sobria e contenuta, ma di grande commozione. Insieme a monsignor Francesco Lambiasi, hanno partecipato il vicario generale don Maurizio Fabbri, Monsignor Aldo Amati e il rettore della cattedrale, don Giuseppe Tognacci. La salma è stata poi tumulata nel Duomo, in una delle cappelline riservate ai pastori della chiesa riminese.

L'intervento del vescovo Lambiasi

Carissimi,
oggi, martedì fra l’Ottava di Pasqua, ha luogo nella nostra Cattedrale il rito di commiato del compianto Vescovo Emerito, Mariano De Nicolò, prima di deporre la sua salma tra le tombe dei nostri venerati padri Vescovi. Mentre, a Dio piacendo, ci ripromettiamo di celebrare la s. Messa e il rito delle esequie a tempo debito e opportuno, vengo a pregarvi di voler condividere alcuni pensieri e sentimenti che mi si agitano in cuore.

Penso che siamo rimasti tutti colpiti dalla felice coincidenza dell’incipit del “santo viaggio” del caro padre Vescovo Mariano con le prime ore del mattino del Sabato santo. Letta in luce di fede e inquadrata con lo ‘specchietto retrovisore’ di quel “giorno solenne” (Gv 19,33), tutta la sua vita mi si affaccia come sospesa tra i travagli del Venerdì della Passione del Signore e le doglie della Domenica di Risurrezione. In effetti il silenzio immobile del Sabato santo si trascina dietro messaggi che ci restano incisi nell’intimo. Ci ricorda che non c’è crocifissione che non conosca la sua deposizione. Non c‘è lacrima che non si sciolga nella dolcezza di un sorriso. Non c’è peccato che non intercetti una redenzione. Non c’è amarezza che non trascolori in consolazione. Non c’è sepolcro che non trovi una pietra che non si possa rotolare...

Ora non mi sembra il caso di scolpire un ‘medaglione’ commemorativo dell’opera e della personalità del Vescovo defunto, ma non posso non rileggere con voi un particolare che non mi risulta trascurabile. Nel motto del suo stemma episcopale si legge testualmente: “Victoria Fides”, due parole latine, ispirate alla prima Lettera di Giovanni: “Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. È un grido di trionfo! Beninteso, un trionfo evangelicamente sorprendente, conquistato non con il sangue della spada, bensì con quello della croce. Ecco, mi sento di poter dire: se si sfilasse la ‘tessera’ della fede, il ‘mosaico’ della lunga vita di Mons. Mariano ci si scombinerebbe tra le mani, fino a diventare completamente irriconoscibile.

Devo aggiungere che il Sabato santo era a lui particolarmente caro, anche perché 65 anni prima, proprio in quel “giorno solenne”, era stato ordinato sacerdote. E qui mi scatta un fotogramma personale, che mi fa piacere parteciparvi. Proprio il Sabato santo dello scorso anno lo ‘pescai’ in incognito, ormai in carrozzina, in Duomo, dove si era fatto portare per passarvi un’ora in preghiera davanti al Crocifisso di Giotto, in quella che era doppiamente diventata la ‘sua’ Cattedrale: perché vi era stato ordinato Vescovo, e perché poi l’avrebbe completamente restaurata fino a riportarla al suo nativo splendore.
Ma c’è anche un terzo Sabato nel santo pellegrinaggio dell’amato Vescovo Mariano che mi lega personalmente a lui, ed è stato il 15 settembre del 2007, quando arrivai a Rimini come suo successore. Da quel giorno cominciò la terza ed ultima fase della sua vita, quella di Vescovo Emerito.

Qui, amici miei cari, datemi la gioia di potervi confidare quasi sottovoce – con il tono sussurrato con cui si condividono le confidenze più intime – “quale” Mariano io ho personalmente incontrato in questi anni del mio ministero in mezzo a voi. Certo, l’ho trovato particolarmente provato nella salute via via più malferma. Ma in tutta sincerità posso attestare che il Vescovo Mariano per me è stato molto più che un rispettabile monsignore, dal tratto nobile e gentile. È stato piuttosto un vero signore, cortese e cordiale. Più ancora mi è stato autentico fratello nel ministero episcopale, sensibile e benevolo, legato dalla quotidiana, affettuosa preghiera per me e per la nostra cara Diocesi, da lui sempre appassionatamente amata, seguita e affettuosamente accompagnata.

Così la sua vita ha continuato ad essere una vera eucaristia: una esistenza umilmente donata al Signore e tutta offerta per il bene nostro e della nostra santa Chiesa. In questo noi, figli di san Gaudenzo, riusciamo ad avvertire che la morte di un pastore, come lui, rappresenta un evento di grazia per la nostra comunità diocesana.
Pertanto la morte si trasfigura in vita: il grano di frumento viene nascosto nella terra, ma non si disperde in essa. Spunta come vita nuova e porta molto frutto. Lo assicura san Paolo: noi apostoli moriamo, perché voi cristiani viviate (vedi 1Cor 4,8-13).
È il messaggio di Pasqua: la morte di Cristo è vita. Anche la morte del pastore è vita per quanti il Signore gli ha donato.

Per questo possiamo cantare l’Alleluia della Pasqua, con le parole ispirate di sant’Agostino:
“O felice quell’alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Qui cantiamo da esuli e pellegrini, lassù nella patria! Chiesa di Rimini, canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, avanzare nella retta fede, progredire nella santità. Canta e cammina!”.

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