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Cronaca

Operazione "Free credit", lingotti d'oro, di platino e orologi preziosi in una cassetta di sicurezza all'estero

Le Fiamme Gialle riminesi arrivate fino a banca austriaca dove erano nascosti parte dei proventi della maxi truffa ai danni dello Stato sui bonus ristrutturazione

Colpo di scena nell'indagine "Free credit" della Guardia di Finanza di Rimini che, lo scorso gennaio, aveva scoperto una maxi truffa da 440 milioni di euro ai danni dello Stato con un sodalizio di 56 persone e 22 prestanome accusati di aver commercializzato dei falsi crediti di imposta. Il proseguo dell'inchiesta ha visto il Gip del tribunale riminese emettere un secondo decreto di sequestro preventivo per 9,7 milioni di euro che ha riguardato immobili, quote societarie e veicoli. La somma deriva dalle percentuali di guadagno fatte dagli indagati e stimate dagli investigatori che avvalorerebbero l’ipotesi del riciclaggio a suo tempo contestata a 5 dei principali accusati che si sono visti mettere sotto sigilli immobili, quote societarie e veicoli.

Il colpo grosso è stato messo a segno grazie alla collaborazione con Eurojust, l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale che aiuta le Amministrazioni nazionali a collaborare per combattere il terrorismo e gravi forme di criminalità organizzata, che ha permesso di individuare una cassetta di sicurezza custodita in una banca austriaca che conteneva un vero e proprio tesoro. All'interno del forziere sono stati trovati lingotti d'oro, di platino e orologi preziosi ritenuti dagli inquirenti parte dei proventi della vendita dei falsi crediti di imposta. Le indagini hanno poi permesso di indagare altre due imprenditori, uno di Adria in provincia di Rovigo e uno di Desio in provincia di Milano, ritenuti complici del gruppo già finito in manette a gennaio.

Allo stato attuale è stato messo sotto sequestro preventivo il 97% dei proventi della maxi truffa tra immobili, società, veicoli e disponibilità finanziarie e crediti che sono stati bloccati prima che venissero ceduti: di questi, oltre 80 milioni erano già stati immessi nel sistema di vendita e sarebbe bastato un click per farli sparire. Il totale dei crediti sequestrati e di cui è stata impedita la vendita ammonta a circa 305 milioni di euro.

Secondo gli investigatori il primo passo del sistema truffaldino messo a punto era quello di individuare aziende in gravi crisi finanziarie o oramai decotte che, però, avessero dei contratti di locazione in essere o in fase di avvio. Attraverso una serie di prestanome il gruppo riusciva ad entrare nella società in crisi fino a prenderne le redini e, di fatto, gestirle al fine di poter accedere al "Cassetto fiscale" e richiedere all'Agenzia delle Entrate l'erogazione del 60% dell'affitto del 2020 sotto forma di credito d'imposta che, poi, veniva rivenduto ad un'altra società compiacente. Così "ripulito", il credito veniva rivenduto al 50% del suo valore nominale ad altre aziende che inconsapevolmente potevano utilizzarlo per scalare le tasse da pagare oppure monetizzato attraverso le Poste Italiane che riconoscevano il 98% del 60% di cui si aveva diritto. Tra i casi più eclatanti, a fronte di un affitto di 3500 euro, questo era stato gonfiato a oltre 9 milioni per i quali era stato poi chiesto il rimborso. Secondo le Fiamme Gialle il gruppo, vista la riuscita con le locazioni, avevano poi allargato il giro interessandosi agli altri bonus. In questo secondo caso, attraverso i professionisti compiacenti, dichiaravano lavori di ristrutturazione che non erano mai stati eseguiti il tutto anche all'insaputa dei proprietari degli immobili coinvolti. Il caso più emblematico quello di un bonus facciate da oltre 41 milioni di euro per lavori mai eseguiti.

Le indagini avrebbero accertato come venivano reinvestiti i proventi della maxi truffa e nel corso del blitz che aveva portato all'arresto dei principali indagati i Finanzieri avevano utilizzato anche termoscanner e cani antivaluta per ispezionare le abitazioni e, grazie a questi supporti, era stato possibile recuperare un'ingente quantità di contanti nascosti in dei trolley oltre a dei preziosi. I contanti, secondo quanto emerso, venivano monetizzati grazie a società partenopee. Un'altra parte del ricavato della truffa invece era stato investito dal gruppo in lingotti d'oro, per un valore di 2 milioni di euro, ed investito in criptovalute per un valore di 7 milioni di euro. A questo si aggiungono conti correnti accesi in banche di paradisi fiscali come Malta, Cipro e Madeira con emissione di carte di credito dal plafond di 50mila euro. Il grosso, tuttavia, veniva investito nell'acquisto di attività commerciali o immobili. 

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