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Cronaca

Si innamorano e partono in missione per lo Zimbabwe. "Al lavoro per creare un reparto di sub-intensiva"

E' la storia di due giovani riminesi che hanno deciso di partire a sostegno del Luisa Guidotti Hospital: "Curiamo malattie lette solo sui libri, siamo spinti dal desiderio di servizio e di fare un’esperienza diversa”

Affrontano ogni giorno Aids, malaria, tubercolosi. Ma il loro desiderio è curare e aiutare il prossimo. Tant’è che tra gli obiettivi ora c’è anche quello di predisporre un’area dell’ospedale di sub-intensiva. E’ la storia di due innamorati di Rimini, Federica Cavalieri e Claudio Bellavista entrambi 28enni, che per un anno hanno deciso di lasciare la Romagna per andare ad aiutare in Zimbabwe. Più precisamente al Luisa Guidotti Hospital ad All Souls. Ora si trovano impegnati in missione spinti da un obiettivo comune “sposare il lavoro in un contesto difficile come quello che si può trovare in paesi del Terzo mondo”.

Federica ha affrontato in prima linea l’epidemia da Coronavirus in Italia. Più precisamente nel reparto di Chirurgia d’urgenza all’ospedale Bufalini di Cesena, dove da cinque anni lavora come infermiera. Claudio, invece, da otto anni era impegnato nell’azienda di famiglia Torneria Bellavista Giuliano. Sono partiti “spinti dal forte desiderio di servizio e di fare un’esperienza diversa”. E non poteva andare diversamente, dato che la loro storia d’amore è nata proprio così, con l’intento di aiutare il prossimo.

Il loro rapporto è nato in una precedente missione, nel 2017, quando entrambi sono stati impegnati per Mutoko, precisamente per All Souls Mission, una missione molto conosciuta nel contesto di Rimini proprio perché la dottoressa Marilena Pesaresi che l'ha gestita per anni è di lì e anche Massimo Migani, il medico che gli è succeduto. In precedenza Federica aveva già affrontato tre settimane in Uganda, subito dopo la laurea. “Ai tempi io e Claudio eravamo solo semplici amici con questo bellissimo interesse comune, poi ci siamo innamorati e abbiamo deciso di partire insieme per un'esperienza più lunga di un anno”, racconta Federica. Quella che stanno affrontando ora. “La pandemia da Covid-19 tuttavia ha ritardato di ben 2 anni la nostra partenza, ma per fortuna ora eccoci qua", ricorda. Sul sito https://www.ormedipace.it/ la coppia ha deciso di raccontare periodicamente ciò che succede nella loro missione.

“Ora sto facendo orientamento, che prevede 2 settimane in ogni reparto, rispettivamente, medicina donne, medicina uomini, pediatria e pronto soccorso. Per ora non mi è permesso lavorare in maternità dove appunto ci sono le ostetriche – racconta Federica -. Devo dire che finora l'esperienza è estremamente unica nel suo genere. In poco tempo sto imparando tantissimo, la gestione di patologie diverse dalle nostre che ho studiato soltanto sui libri come Aids, malaria, tubercolosi, la difficoltà di due lingue diverse con cui avere a che fare, l'inglese e lo shona (la lingua locale), per non parlare dell'autonomia che gli infermieri hanno qui a differenza del nostro paese”.

Il progetto finale per quest'anno è quello di predisporre un’area dell'ospedale di Sub-intensiva. “La carenza di personale purtroppo è disarmante – racconta Federica -, negli ultimi anni infatti in Zimbabwe gli stipendi si sono più che dimezzati e questo ha portato medici ed infermieri a partire per il Regno Unito, il Sud Africa, o l'America. E così un sistema già di per sé fragile viene ancora di più messo alla prova”.

Claudio invece sta facendo affiancamento nell'amministrazione dell'ospedale che si occupa di innumerevoli cose. “Bisogna infatti ricordare che questo non è solo un ospedale, ma è un ospedale missionario, per cui essere a disposizione per i bisogni della comunità è la priorità per tutti – racconta -. Molti si rivolgono al Luisa Guidotti e non sempre i bisogni sono solo di tipo sanitario, ma anche e soprattutto sociale. Claudio sta dedicando un po' di tempo nei vari uffici per capire bene come funziona l'ospedale. Si sta creando un bel clima di condivisione di idee dato dalle diverse esperienze. Il personale lo ha accolto molto bene e c'è già un primo rapporto di fiducia reciproca. In più visto che molti donatori e sostenitori dell'ospedale sono in Italia è un buon ponte di comunicazione con l'amministrazione dell'ospedale”.
 

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