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Cronaca

Nell’hotel che fa lavorare le profughe ucraine. “Da medico a cameriera, una vita stravolta”

Viaggio al Suprem di Viserba, dal manutentore fino alle donne che governano le camere sono per la gran parte di cittadinanza ucraina. In Riviera sono oltre 300 i profughi che hanno trovato lavoro come stagionali

Su viale Giuliano Dati, a due passi dalla chiesa di Santa Maria a Mare, è un rincorrersi di hotel e pensioni. Molte di queste, una volta a conduzione familiare, oggi sono affidate per il periodo estivo in gestione. E’ il caso dell’Hotel Suprem, un tre stelle affacciato sul mare, all’altezza del bagno 33. Nel cuore di Viserba. Qui l’associazione Riviera Sicura, salita alla ribalta delle cronache nazionali per aver ospitato nelle loro strutture mamme e bambini in fuga dall’Ucraina, sta avviando le profughe che hanno deciso di fermarsi al lavoro. Lungo la Riviera Romagnola saranno almeno 300 le persone, soprattutto giovani donne, che hanno deciso di accettare un posto da lavoratrici stagionali. Il caso dell’Hotel Suprem è un unicum nel suo genere, perché qui dal manutentore fino alle donne che governano le camere sono per la gran parte di cittadinanza ucraina. Si tratta di uno staff di una decina di persone, da Vlad, 23 anni, unico uomo impegnato come tutto fare, fino a Inna che aiuta con i piatti in cucina.

Riviera Sicura aveva annunciato da tempo che si sarebbe attivata per consentire alle profughe ucraine di poter lavorare e integrarsi in Romagna. L’approccio al lavoro funziona, con regolari contratti di lavoro – spiega Riviera Sicura - e c’è chi arriva anche a guadagnare oltre 1.500 euro netti al mese più vitto e alloggio, “Il lavoro aiuta a distogliere l’attenzione dal cellulare, dove ci rifugiamo di continuo per cercare di capire dove sono stati gli ennesimi bombardamenti”, racconta Natalia, con le lacrime agli occhi. La sua è una storia diversa dalle altre, perché è in Italia da soli due mesi. Ha lasciato Odessa con un treno, ha raggiunto la Romania e da li ha comprato un biglietto aereo per l’Italia. Lo ha fatto con suo figlio di 15 anni. Natalia lavorava come specialista per Tac e Risonanze magnetiche alla Lidermed, una clinica privata di Odessa. “In Ucraina avevo tutto – dice in lacrime -, ora sono in aspettativa, i medici con cui lavoravo mi dicono di tornare. Ma io ho pensato a mio figlio, ha 15 anni, i prossimi due anni per lui sarebbero stati persi. In Italia avevo una cugina, così abbiamo deciso per questa soluzione, non è facile ma vi assicuro che lavorare e dover interrompere tutto per nascondersi nei sotterrai è una sofferenza inspiegabile”.

Ogni donna ha la sua storia. Natalia ora racconta di sentirsi al sicuro: “Mi trovo bene, ma sono in attesa di poter tornare a casa dalla mia famiglia. In Ucraina avevo un’indipendenza economica, vedremo quali saranno le prospettive”. Anche Inna, 32 anni, una figlia di 6, non sa quale sarà il suo futuro. “La bambina non vuole saperne dell’italiano, frequenta il centro estivo, ma per lei l’unico pensiero è quello di tornare in Ucraina. Dai nonni e dal suo gattino”. Inna si occupa delle pulizie delle camere e aiuta con i piatti in cucina, insieme ad altre donne che hanno vissuto un percorso simile al suo. Al loro fianco al Suprem, come responsabile del personale, c’è Lidia Bastianelli, italiana di Torre Pedrera con mamma di origini ucraine. “Conosco la loro lingua e sono diventata il loro riferimento – racconta Lidia -, non sempre è immediato che si confidino. Ma si riesce ad avere un rapporto umano e a dare una mano per le eventuali necessità”.

Inna è originaria di Nikolaev ed è fuggita subito dall’Ucraina. “Per i primi tempi siamo stati accolti dalla compagna di classe di una mia cara amica, che vive da 9 anni in Italia, e per un periodo ci ha anche pagato un hotel”, racconta. Poi l’incontro con Riviera Sicura e l’opportunità di lavorare: “In Ucraina ero rimasta senza lavoro, prima dello scoppio della guerra ero impiegata in una fiera, ora qui penso a lavorare, perché è l’unica cosa che mi distoglie l’attenzione da cosa sta accadendo in Ucraina. Senza lavoro sarei impazzita. Ho lasciato mamma e tutti quanti. Tutte le mattine ti risvegli e non sai come finirà la giornata, nella mia zona ci sono almeno 10/11 bombardamenti al giorno”.

Giosuè Salomone, presidente di Riviera Sicura, spiega che chi ha deciso di lavorare “lo fa con grande impegno, riconoscenza e umiltà”. Le storie spesso sono diverse, ma hanno tanto in comune. E se qualcuno a volte lo attacca, per l’opportunità di far lavorare le profughe ucraine, Giosué allarga le braccia. “Si tratta di persone che hanno ottenuto protezione temporanea e che possono lavorare, lo stanno facendo con tutti i contratti in regola e con stipendi veri che possono anche dare un aiuto in questo momento di difficoltà. Credo sia invece un bel messaggio, è quello che deve fare l’integrazione: non si tratta solo di ospitalità di emergenza, ma anche cercare di inserire queste persone nella società”.

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