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Cronaca Riccione

Il titolare del kebab accusato di caporalato: "Non sfruttavo i dipendenti anzi, li aiutavo"

Interrogatorio di garanzia davanti al gip per il proprietario dell'attività sequestrata dai carabinieri di Riccione, l'indagato rigetta tutti gli addebiti

Si è tenuto nella mattinata di martedì l'interrogatorio di garanzia per la famiglia di origini turche, proprietari di un kebab a Riccione, arrestati la scorsa settimana con l'accusa di sfruttamento dei lavoratori e con l'attività che è stata messa sotto sequestro. Davanti al gip Vinicio Cantarini il figlio 25enne e la madre 55enne si sono avvalsi della facoltà di non rispondere mentre il capofamiglia, un 64enne difeso insieme al resto dei famigliari dagli avvocati Andrea Muratori e Diego Montemaggi, ha parlato per quasi 2 ore ribattendo punto su punto i capi d'accusa. In particolare l'uomo ha voluto sottolineare di essere arrivato in Italia nel 2019 con una richiesta di asilo politico in quanto militante del partito Pkk. Nel 2021 ha quindi deciso, insieme ai famigliari, di aprire il negozio di kebab a Riccione rigettando con forza l'accusa di caporalato sostenendo che, i dipendenti, erano tutti stranieri che avevano bisogno di aiuto. "Non sfruttavo i dipendenti anzi, li aiutavo", ha dichiarato davanti al magistrato.

Il locale sotto sequestro

Allo stesso tempo, sulla questione degli orari di lavoro ben al di sopra dei limiti imposti dal contratto, il 64enne ha spiegato come i suoi dipendenti in realtà facevano meno ore ma essendo stranieri, senza famiglia e senza nessun conoscente sul posto spesso si intrattenevano nel locale anche quando i turni erano finiti. Anche sull'accusa di alloggiarli in ambienti malsani o, addirittura nella propria auto, il titolare dell'attività ha respinto gli addebiti spiegando di aver fatto di tutto per dare loro un tetto sulla testa ed evitargli le spese di un affitto. In un'occasione, inoltre, avrebbe pagato di tasca propria una stanza in hotel per uno dei dipendenti. Al termine dell'interrogatorio la difesa non ha avanzato richieste al gip per l'attenuazione delle misure di custodia cautelare: padre e figlio rimangono agli arresti domiciliari mentre, la madre, è sottoposta all'obbligo di firma.

L'indagine dei carabinieri di Riccione supportata dal Nucleo dell'Ispettorato del lavoro e coordinata dal sostituto procuratore Giulia Bradanini era partita nel luglio del 2022 quando un dipendente dell'attività, in via Verdi nella Perla Verde, aveva segnalato le condizioni di lavoro e le minacce e ritorsioni a cui era sottoposto. Gli inquirenti avevano così iniziato a tenere d'occhio il kebabbaro e, allo stesso tempo, a prendere informazioni sui vari dipendenti facendo emergere un quadro inquietante della situazione a cui erano costretti i lavoratori. Secondo quanto emerso le paghe erano palesemente difformi rispetto a quanto stabilito dai contratti di lavoro con turni che arrivavano fino alle 15 ore giornaliere, a questo si aggiungeva la totale mancanza di riposi settimanali, malattie e ferie. Anche i luoghi di lavoro non erano a norma per quanto riguardava la sicurezza dei dipendenti che, allo stesso tempo, erano tenuti costantemente sotto sorveglianza e alloggiati in ambienti degradanti. 

Nel corso dell'inchiesta sono stati individuati 6 lavoratori, tutti extracomunitari e non sempre in regola coi documenti, sottoposti a questo trattamento. Ad alcuni di essi, inoltre, i titolari dell'attività avevano sequestrato i documenti oltre ai cellulari e agli effetti personali per poi costringerli a dormire in ambienti malsani. Alcuni venivano fatti dormire all’interno dei locali dell’attività commerciale, in particolare in un ripostiglio sopra la cella frigorifera, e in un caso persino all’interno dell’autovettura del datore di lavoro. Al termine dell'indagine, coordinata dal sostituto procuratore Giulia Bradanini, il gip ha emesso il provvedimento cautelare nei confronti degli indagati. 

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