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Cronaca Santarcangelo di Romagna

Stroncato dal monossido di carbonio, "Tutti insieme per riportare a casa Fanse"

Gli amici del 38enne agricoltore originario del Mali si stanno mobilitando per restituire ai suoi cari il corpo

Fanse Diarra, 38 anni, agricoltore originario del Mali, non c'è più. È stato stroncato dal monossido di carbonio, veleno mortale sprigionato da un rudimentale braciere con cui cercava di scaldarsi un po' e che ha saturato la stanza in cui dormiva a Santarcangelo. La sua morte è stato uno shock per le realtà riminesi che ruotano attorno all' agricoltura biologica e all'alimentazione naturale, settori nel quale Fanse aveva dato il massimo di sè. Sempre con entusiasmo e voglia di fare. Il dolore per la sua assenza è grande, ma altrettanto ė grande la volontà di fare qualcosa per ricordarlo e per aiutare in modo concreto la giovane moglie e le tre figlie bambine rimaste senza padre. Per questo i conoscenti della filiera "green" del riminese hanno avviato una gara di solidarietà per sostenere le spese del funerale e del trasporto della salma in Mali. Fanse aveva lasciato il suo Paese, anni fa, per emigrare in Libia. Qui aveva svolto svariati lavori sia in campagna che negli allevamenti avicoli. Era partito inseguendo un sogno. Voleva guadagnare il necessario per comprarsi un trattore e tornare a coltivare la sua terra in Mali. Ma in Libia le condizioni di vita erano terrificanti. Costretto a mollare tutto, dopo essersi visto puntare una pistola addosso per aver solo rivendicato la paga di tre mesi di lavoro, Fanse aveva infine scelto, come ultima speranza, la via del mare.

"Un terno al lotto sul classico barcone che gli era costato un occhio della testa" ricorda Daniele Bianchi, un amico di Rimini. Dopo l'approdo in Italia, nel maggio del 2014, il profugo era giunto in Romagna dove è stato accolto dalla cooperativa "Millepiedi" e da qui, dopo pochi mesi inviato per il tirocinio in una cooperativa agricola di Santarcangelo, dove ha lavorato a testa bassa fino alla fine. Fanse non era uno sprovveduto. Da ragazzo aveva proseguito gli studi per acquisire maggiori conoscenze nelle tecniche agricole. Una formazione che gli è tornata utile quando è approdato nella florida terra romagnola. "Lavorava sodo ed aveva una tempra forte - continua Bianchi - il suo fisico esile non doveva trarre in inganno. Dalle braccia sprigionava una forza incredibile". Chi l'ha conosciuto lo descrive come una persona molto corretta, responsabile, collaborativa e curiosa di approfondire le sue conoscenze. Si gettava a capofitto in progetti di sperimentazione e nell'ultimo periodo si era impegnato nell'auto produzione di semi finalizzata alla realizzazione di piantine al cento per cento biologiche. Qualità che in poco tempo gli erano valse l'agognato contratto a tempo indeterminato. Non solo. Sempre partecipe e presente nei processi di innovazione, era desideroso di apprendere cose nuove di quel settore che, da subito, gli era apparso congeniale.

Un entusiasmo per questa nuova vita che non gli impediva di volgere lo sguardo a quel che aveva lasciato: i suoi cari e l'Africa. Per questo collaborava con l'associazione di volontariato "Jambo Jambo Onlus" nella promozione di cene sociali finalizzate a raccogliere finanziamenti da destinare a progetti in terra africana. Eppure in cuor suo manteneva ancora una spirito avventuriero, nel senso buono del termine. Coltivando l'illusione di poter diventare, un giorno, un vero e proprio imprenditore, nella primavera del 2016 aveva girato l'Italia in lungo e in largo con due amici completamente estranei al mondo agricolo ma, come lui, desiderosi di vivere affondando le mani nella terra. Lo strano terzetto, di cui facevano parte un esodato (un ragioniere di Rimini rimasto senza lavoro dopo una vita trascorsa davanti alla scrivania) e una giornalista disoccupata (senza lavoro dopo il fallimento del giornale), aveva sondato le possibilità di avviare un'azienda bio, dopo un confronto con i vertici istituzionali della Calabria e in Veneto. Tornato in Romagna aveva ricominciato a lavorare in una cooperativa diventandone presto uno dei soci più fidati. Tutto quel che guadagnava lo spediva a Mali. Qui, oltre la famiglia, una vera e propria tribù di conoscenti e amici, poteva contare sul sostegno economico del proprio emigrato.

Nell'ultimo ritorno a casa aveva concepito la terza figlia, una bimba che oggi ha due anni e che solo il prossimo dicembre avrebbe finalmente potuto, per la prima volta, coccolare. I suoi sogni di migrante si erano stemperati di fronte alla dura realtà e così, negli ultimi mesi, gli era rimasto un solo chiodo fisso. Non più un'impresa agricola in qualche zona sperduta d'Italia, non più un trattore per ritornare a coltivare le aride campagne del Mali, ma la speranza, non più una chimera, di potersi ricongiungere con la famiglia. Proprio qui, in Romagna. Un pensiero che in un giorno di freddo siberiano si è dissolto in una nube di gas malefico. "Di questo giovane buono e volenteroso non ci restano che il rimpianto e l'affetto - riflette, addolorato, chi l'ha conosciuto - oltre al bisogno di cercare il modo per poterlo, almeno, restituire ai suoi cari". Un appello colto senza esitazioni dall'associazione di volontariato Jambo Jambo Onlus. Chi vuole contribuire alla gara di solidarietà può farlo inviando un bonifico all'associazione di volontariato "Jambo Jambo Onlus" codice IBAN It 02E0885268020021010043961 e indicando nella causale "Portiamo a casa Fanse".

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