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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Bellaria-Igea Marina

Tutta la città si stringe ai famigliari del 13enne scomparso. Il vescovo: "Non ho un perché di questa tragedia"

Una folla allo stadio comunale “Nanni” di Bellaria, il vescovo Lambiasi: "Mi sento paralizzato nel ‘palpare’ questa sofferenza implacabile, un evento più catastrofico di un terremoto"

Una vera e propria folla quella che, nel pomeriggio di mercoledì, si è riunita allo stadio comunale "Nanni" di Bellaria per dare l'ultimo saluto al 13enne tragicamente scomparso venerdì scorso. Il ragazzino, nella prima mattinata, era stato trovato a terra privo di vita davanti all'albergo dei propri genitori. Gli albergatori, molto conosciuti in città, sono rimasti sconvolti dal gesto di quello che è stato descritto da tutti un giovane allegro e spensierato. Un gesto inaspettato arrivato senza avvisaglie che ha sconvolto l'intera comunità bellariese e, allo stesso tempo, portato il Comune a decidere per il lutto cittadino.

Nella sua omelia il vescovo Lambiasi si è rivolto direttamente ai genitori e ai fratelli del 13enne esprimendo il suo desiderio di voler "ridurre al minimo le distanze fisiche per stare il più vicino a voi e piangere con voi le lacrime amare del vostro immenso dolore. Credetemi. Ora vorrei provare il brivido a pelle di Gesù che, nel vedere la povera vedova di Nain, inghiottita dalla sofferenza più atroce, si è sentito fibrillare le sue viscere materne e spezzare il suo dolcissimo cuore davanti all’indicibile strazio di una mamma, una bara, un corteo funebre. Credetemi, vi prego. Vorrei essere come Gesù, capace come lui di poter dire a vostro figlio e fratello: “Fratellino mio, dico a te: alzati!”, per restituirlo vivo alla mamma, e riconsegnarlo agli abbracci che soli ci rendono vivi. Alle relazioni d’amore, nelle quali soltanto, da vivi, viviamo la vita. Ma io sono un poveretto di fronte a tanto male, che non si vede e non si ascolta mai abbastanza. E mi sento paralizzato nel ‘palpare’ questa sofferenza implacabile, che resta avvolta nell’ombra, oltre le immagini, le parole, la tragicità di un evento più catastrofico di un terremoto. Più atroce del più atroce dolore del mondo".

"Eppure - ha proseguito il vescovo di Rimini - sento di potermi fare coraggio e darvi una parola che non viene da me, ma mi viene suggerita da Colui che mi ha mandato oggi qui, a partecipare a questa drammatica liturgia. Lo confesso: io non so dirvi perché questa triste, disastrosa tragedia sia accaduta. Ma non posso sottrarmi alla domanda ineluttabile: ma dov’era Dio quando il 13enne è morto? Permettetemi di dirvi francamente. Io non credo in un dio che ami il dolore dei suoi figli. Che faccia l’indifferente di fronte alle lacrime di bambini innocenti, alle ferite delle ragazzine abusate, alle sofferenze degli omosessuali derisi o delle donne violentate. Io credo nel Dio della croce e della risurrezione. Io credo nel Dio di Gesù di Nazaret, per il quale non sono gli uomini che debbono sacrificarsi per Dio e rendergli onore. Io credo in Gesù, che si è lasciato inchiodare alla croce per aiutarci a non sbagliarci su Dio. Per farci vedere finalmente il volto di un Dio diverso. Non vendicativo, ma umile. Non prepotente, ma impotente per amore. Un Dio che non si impone, ma si propone. Che si offre, e perciò soffre. Io credo in Gesù, il Figlio di Dio, che è sceso fino al punto da raccoglierci tutti a braccia aperte quando cadiamo a terra. Fino al punto da guardarci sempre dal basso in alto. E mai dall’alto in basso. Io credo nel Gesù di don Oreste. Il quale, per il giorno della sua morte, aveva scritto: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio”. Io credo infine che Gesù risorto venerdì scorso mattina era qui a Bellaria, pronto a raccogliere Manuel – questo nostro giovane amico, bello, buono, bravo da svenire – per fare della fine della sua vita l’inizio di una vita senza fine".

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