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Economia

Dopo la fine del lockdown oltre la metà delle azienda lavora a regime ridotto

Solo il 38% viaggia a regimi simili a quelli pre-emergenza, le imprese prevedono un ritorno alla normalità nel primo semestre 2020

Dalle indagini Excelsior emergono le strategie decisive per contrastare la crisi e ripartire in sicurezza in Italia e in provincia: export e digitalizzazione, formazione e lavoro agile. Le indagini sono state condotte su un universo di 1.380 mila imprese, con almeno un dipendente, da Unioncamere in accordo con Anpal, per indagare sugli impatti del lockdown e sulle strategie per i prossimi mesi  e i tempi previsti per la ripresa. Nei primi sei mesi del 2020 tre imprese su quattro hanno mantenuto stabile il numero dei propri occupati (1.035 mila pari al 76,1% delle imprese dell’industria e dei servizi con dipendenti) in base alla rilevazione Excelsior di Unioncamere/Anpal. Circa 290mila invece (21,3% delle aziende italiane), hanno dovuto ridurre i livelli occupazionali mentre altre36mila (il 2,6%) li hanno aumentati, con un saldo negativo tra imprese che hanno ridotto e imprese che hanno aumentato il numero dei propri dipendenti pari a -18,7 punti.

Vanno meglio le imprese esportatrici (-15,2 punti di differenza tra imprese in flessione e imprese in crescita rispetto al -19,1 delle non esportatrici). Segnali positivi emergono anche per le imprese già dotate di piani integrati di digitalizzazione, che mostrano una maggiore resistenza occupazionale, con un saldo negativo (-17,4) tra chi aumenta e chi diminuisce l’occupazione meno accentuato rispetto alle imprese non ancora digitalizzate (-19,3), grazie alle innovazioni precedentemente introdotte. Gli investimenti che pagano sono quelli intensi ed integrati sulle nuove tecnologie e sui moderni modelli organizzativi e di business, che impattano su progettazione, produzione, marketing, reti di distribuzione, logistica ma anche sull’organizzazione delle risorse umane negli spazi e per la formazione non solo sui temi della sicurezza (reskilling del personale). L’emergenza non è ancora finita ma le imprese già guardano al domani, in particolare quelle proattive. Anche se permane un clima di incertezza sono 600mila le impre  se che contano di recuperare risultati operativi accettabili entro fine anno. Per ulteriori 580mila bisognerà aspettare il 2021 per superare il difficile passaggio.

Avendo ripreso le attività immediatamente dopo la fase di più stretto lockdown, le imprese delle costruzioni mostrano la migliore aspettativa di recupero tra tutti i principali macro-settori. Per quasi un sesto degli operatori il superamento delle difficoltà era atteso entro fine luglio e per un ulteriore 9% entro la fine di ottobre, sebbene la quota di quelli che non hanno subito perdite nel periodo di sospensione obbligata sia piuttosto contenuta (intorno al 7%). Situazione più critica invece per le imprese del settore turistico. Ben il 63,1% di queste ritiene di poter tornare a livelli di attività adeguati solo in tempi lunghi – non prima del primo semestre del 2021. E soltanto il 6,2% (la quota più contenuta tra tutti i macro-settori) degli operatori del comparto prevede il ritorno a condizioni accettabili entro il mese di ottobre. A pesare in particolare sono gli effetti della perdita del volume di affari per la chiusura delle attività, con tempistiche più lunghe rispetto ad altri settori, e l’inevitabile protrarsi delle limitazioni nei flussi turistici dall’estero, oltre agli effetti depressivi legati al generalizzato calo dei redditi sia sul fronte interno che internazionale.

Una situazione analoga, anche se a tinte meno fosche, è quella prospettata dalle imprese del commercio. Una su due teme infatti che gli effetti dell’emergenza Covid-19 della primavera 2020 possano durare per oltre un anno. A fare la differenza anche in questo caso sono soprattutto l’aumento delle difficoltà economiche per molti nuclei familiari, che ne riducono la capacità di spesa, oltre alle modifiche delle abitudini di spesa dei consumatori a seguito delle misure di contenimento. Migliori capacità di reazione si evidenziano, invece, per le imprese che operano nei settori della sanità e dei servizi assistenziali privati (con il 63,5% degli operatori che già nel 2020 conta di raggiungere un pieno recupero), dell’istruzione e dei servizi formativi privati (con il 17,4% delle strutture che traguarda alla fine di ottobre i tempi del recupero). Nel manifatturiero sono invece i settori della meccanica, elettrico, elettronico e della chimica-farmaceutica a contare di poter contenere entro la fine del 2020 gli effetti più pesanti delle restrizioni indotte dalla pandemia. Sul versante dell’Industria il quadro è complessivamente meno critico rispetto ai Servizi. La ristorazione, i servizi legati alla filiera del turismo, la moda, i servizi legati alla cura della persona e al tempo libero e i servizi formativi privati, rappresentano i settori maggiormente esposti alla contrazione dell’occupazione. Meno critica la situazione occupazionale per i servizi ICT, le industrie chimiche-farmaceutiche, i servizi finanziari/assicurativi e i servizi avanzati di supporto alle imprese.

La possibilità di attivare ammortizzatori sociali (come indicato da circa 451mila imprese), l’operare in un settore non interessato dal lockdown (252mila imprese) o fare parte delle filiere considerate essenziali (250mila imprese), nonché il lavoro agile (166mila imprese), sono stati tra i principali fattori indicati dalle imprese come determinanti il mantenimento (+/-2%) e, in alcuni casi, l’aumento dell’occupazione (>2%) nel 1° semestre dell’anno in corso rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Cresce l’interesse delle imprese all’adozione di soluzioni digitali per una innovativa organizzazione del lavoro e delle relazioni con clienti e fornitori; all’implementazione di reti digitali integrate favorite anche da una maggiore diffusione del cloud, alla diffusione di internet ad alta velocità e all’introduzione di tecnologie IoT. Le imprese investiranno molto di più nell’utilizzo dei Big Data, del Digital marketing e più avanzata personalizzazione di prodotti/servizi.

Passando al livello locale e in particolare alla provincia di Rimini nel sentiment delle imprese continua a prevalere l’incertezza, anche per le più dinamiche e resilienti. Le imprese in attività dopo il lockdown sono il 96,5% e prevalgono le aziende con attività a regime ridotto (58%), seguite da quelle con attività a regimi simili a quelli pre-emergenza (38,5% evidenziati). Il restante 3,5% ha l’attività sospesa e/o valuta la chiusura. Suddividendo le imprese in 6 macro settori, i settori che ‘tengono’ (cioè con attività a regimi simili a quelli pre-emergenza) sono, nell’ordine: Costruzioni 53,1%, Commercio 50,7%, Servizi alle imprese 49,6%, Industrie e public utilities 43,2%, Servizi alle persone 32% e Turismo 20,3%. Da notare la maggior resilienza delle imprese medio-grandi che registrano 45,5 e 48 punti percentuali, mentre le micro e le piccole 37,4% e 41,5%.

Tra le imprese in fase di recupero, il 9,9% prevedeva una ripresa entro luglio, l’8,5% entro fine ottobre, il 29,8% entro il 2020 e il 52% nel primo semestre 2020 (Graph n. 2 parte più evidente) in linea con Emilia-Romagna e Italia. La parte più rapida dei recuperi interessa le Costruzioni (16,5% delle imprese), il Turismo e il Commercio (per ognuno dei settori per il 10,3%), i Servizi alle persone (9,1%), i Servizi alle imprese (7,6%) e l’Industria con le public utilities (5,9%). I settori che vedono la ripresa più lontana a partire dal 2021 sono invece: per il 60,4% l’Industria con le public utilities, 55,1% Turismo, 50,4% Commercio, 49,3% Servizi alle persone, 49,2% Servizi alle imprese, 37,6% Costruzioni. 

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