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Economia

La salvezza delle vigne riminesi? Nell’export e nelle azioni territoriali

La diminuzione dei vigneti comporta problemi non solo per le aziende che hanno investito e che hanno saputo toccare livelli di riconosciuta eccellenza, ma anche per il territorio

Nella Provincia di Rimini la viticoltura è in massima parte concentrata proprio sulle colline. Questa produzione negli ultimi 15 anni è stata valorizzata da numerose aziende agricole che hanno saputo imporre sui mercati nazionali ed internazionali i loro vini di qualità, a partire dal Sangiovese. Parallelamente anche i viticoltori puri (quelli che conferiscono alle cantine) hanno investito sulla qualità, ristrutturando i vigneti.

Eppure si assiste a un paradosso: la remunerazione media della produzione di collina resta molto bassa, certamente inferiore in proporzione a quella delle uve bianche della pianura, meno pregiate, ma che hanno beneficiato del boom delle aziende produttrici di spumanti, cui possono conferire grandi quantitativi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: se nel 1992 si era toccato il picco massimo di viticoltura e produzione – 3950 ettari coltivati a vigneto, per 539 mila quintali di uve – nel 2011 nella Provincia di Rimini sono rimasti appena 2453 ettari di vigne (– 22,8%) che hanno dato circa 300 mila quintali di uve. Una produzione che anche quest’anno sta spuntando prezzi del tutto insoddisfacenti, attestati fra i 20 e i 25 euro a quintale. Se si considera che la viticoltura in collina rende 100 quintali per ettaro, contro i 400 della pianura, facile comprendere le difficoltà cui vanno incontro le nostre imprese.

La diminuzione dei vigneti comporta problemi non solo per le aziende che hanno investito e che hanno saputo toccare livelli di riconosciuta eccellenza, ma anche per il territorio: dal punto di vista paesaggistico, ambientale e di tenuta idrogeologica del suolo. Tutti temi di scottante attualità, cui è urgente dare risposta. Durante il V Forum Nazionale Settore Vinicolo della Cia  che si svolto lunedì al Palacongressi di Rimini, numerosi interventi hanno focalizzato problemi e prospettive.

 Denis Pantini, Responsabile Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma spa, ha segnalato che “lo scenario economico attuale e futuro evidenzia rilevanti segnali di stagnazione e, in prospettiva, riduzione strutturale dei consumi di vino nel mercato nazionale. Contestualmente e in contrapposizione, si prospettano (o si consolidano) opportunità di crescita di tali consumi nei mercati esteri, in particolare extra-Ue. In virtù della stagnazione dei consumi interni e del diverso grado di velocità dello sviluppo dei consumi di vino nei mercati esteri, i vini “italiani” che oggi soffrono di più sono quelli meno export oriented o con ridotta visibilità/notorietà sui mercati esteri. Il mantenimento della viticoltura di collina, per gli importanti risvolti socioeconomici ed ambientali che esprime, rappresenta un obiettivo prioritario che per essere raggiunto deve seguire direttrici di sviluppo di mercato basate sulle leve ormai “note”: promozionali (per l’estero); organizzative (per la commercializzazione); di valorizzazione territoriale (per l’enoturismo); di costruzione di un’identità forte e riconoscibile”.

 Claudio Bertucciolli, del Servizio Tecnico di CIA Rimini, ha evidenziato che “contemporaneamente alla riduzione delle superfici coltivate, il “vigneto riminese” ha subito una modificazione anche nelle sue caratteristiche strutturali: da una lato nei nuovi impianti sono stati introdotti i vitigni internazionali (Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay) a scapito del Trebbiano, dall’altro sono state modificate sia le forme d’allevamento sia le rese per ceppo. Contestualmente si è ridotta drasticamente la superficie dei vitigni bianchi a vantaggio del Sangiovese e degli altri vitigni a bacca rossa in seguito a una “moda” che a metà anni ’90 aveva decretato la fine dei “bianchi” e un futuro radioso dei soli “rossi”, previsione storicamente rivelatasi errata”. “Il Sangiovese nel 2010 rappresentava il 63% dell’intera superficie vitata”, ha aggiunto.

“La diminuzione della superficie a vigneto nel riminese è andata di pari passo con altri due fenomeni, il primo di tipo socio-demografico il secondo economico – ha proseguito Bertucciolli -. Il progressivo calo delle aziende, soprattutto di quelle condotte da ultra sessantacinquenni, è stato accompagnato dall’abbandono della coltivazione, tradizionalmente legata agli imprenditori più anziani. A partire dalla metà degli anni ’90, inoltre, i principali gruppi cooperativi del territorio che intercettavano oltre il 50% della produzione vitivinicola locale, sono entrati in un vortice di criticità finanziaria che ha visto dapprima un progressivo indebolimento della struttura patrimoniale e poi un’inevitabile ripercussione sui prezzi di liquidazione delle uve”

“Purtroppo si rileva che l’uva Sangiovese di 11,50° idonea alla produzione di un vino a DO, sia passata da una quotazione di 47,30 Euro dell’anno 2002, a 25,11 Euro del 2009 ultimo anno completamente liquidato ai soci – ha continuato Bertucciolli -. La diminuzione è del 47%, ma nel 2008 ha abbondantemente superato il meno 50%.  Se consideriamo una produzione media per ettaro attorno ai 120 q.li (stima ottimistica, nel 2011 nella collina le rese non superano gli 80 q.li/ettaro) avremo una produzione lorda vendibile di circa 3mila Euro/Ha rispetto ai cinquemila676 del 2002”.

“Le difficoltà del settore diventano ancor più evidenti quando si analizzano i costi di produzione che negli ultimi 10/15 anni sono enormemente aumentati, basti pensare ai prezzi di carburanti e antiparassitari. Tutto questo ci fa comprendere la ragione per cui ci sia stata una vera e propria corsa all’estirpazione dei vigneti e alla progressiva riduzione della produzione vitivinicola – ha aggiunto -. Non tutto è però negativo, accanto a vecchi vigneti che sono scomparsi seguendo il destino dei loro conduttori, nuovi vigneti e nuove imprese hanno visto la luce. Sono nate così interessanti aziende vinicole che si caratterizzano per aver adottato nuovi criteri di coltivazione, più rispettosi dell’ambiente e più attenti alla qualità del prodotto finito, il vino. Negli ultimi anni molte di queste realtà hanno ricevuto riconoscimenti a livello nazionale e internazionale per la qualità delle loro produzioni. Questi ottimi risultati sebbene inducano ancora a sperare in una rinascita del settore, non devono farci ignorare che il “vigneto riminese” una volta elemento fondamentale del paesaggio agrario, stia progressivamente scomparendo dalle colline ed sia raramente sostituito da altre coltivazioni arboree. Non possiamo trascurare il fatto, infine, che dove i vigneti di collina sono stati estirpati o abbandonati si instaurano nel tempo gravi fenomeni di  instabilità dei versanti con conseguenze spesso gravi per tutta la collettività”.

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