Giallo storico a Mobycult: Carlo Lucarelli presenta "Albergo Italia"
Mercoledì Carlo Lucarelli presenta a Mobycult il suo ultimo libro, “Albergo Italia” (Einaudi), giallo storico ambientato alla fine dell’Ottocento, nella Colonia Eritrea. Protagonisti, il capitano Piero Colaprico dei Reali Carabinieri e lo zaptiè, il carabiniere indigeno Ogbagabriel Ogbà. Era apparso in “L’Ottava vibrazione” del 2008, l’allora maresciallo Colaprico, alla vigilia della disfatta di Adua, col suo sigaro e i suoi dubbi sull’impresa coloniale italiana.
Ma la felice invenzione d’una “spalla”, lo zaptiè Ogbà, apre un’altra dimensione narrativa, che ribalta i ruoli e apre all’ironia: «Quando il buluk-basci Ogbà parla io lo ascolto sempre – dice Colaprico -. Sa come lo chiamo? Lo Sherlock Holmes abissino». E se Ogbà non ha mai sentito parlare di Sir Arthur Conan Doyle, sa benissimo che agli italiani, ai T’lian piace credere di averle fatte loro, le cose. Cullu ba’llè, li definisce in lingua tigrigna, «so tutto io».
L’inizio di tutto è un tentativo di furto nel deposito militare di Archico, a Massaua, l’anno è il 1899. Non è stato portato via nulla, in apparenza, ma l’indagine affidata al capitano Colaprico smaschera quello che sembra l’usuale “gioco delle tre carte” dei trafficanti di merci destinate all’esercito, complice un furiere dai molti segreti. Mentre Ogbà, osservando le tracce nel deposito, si accorge invece che è stata rubata una cassaforte, chiusa, che non avrebbe dovuto essere lì. E quando poi il giorno dell’inaugurazione dell’Albergo Italia, il più moderno ed elegante – e ancora l’unico – di Asmara, in una delle camere viene trovato morto «Farandola Antonio, di anni 46, residente a Torino, professione tipografo», è sempre Ogbà a notare che lo sgabello rovesciato sotto il cadavere risulta troppo basso per impiccarsi alla ventola sul soffitto.
Il caso sembra chiaro: « Il sottotenente Lorenzo Maria Franchini (…) aveva ucciso il (…) tipografo di Torino, perché non poteva pagargli i debiti di gioco, poi ne aveva inscenato il suicidio». Ma a Colaprico e Ogbà i conti non tornano. «E infatti nei giorni successivi accaddero due cose. Anzi, tre». Tra cui il ritrovamento della cassaforte trafugata dalla caserma, aperta e vuota, con sopra la testa del ladro, «con la bocca spalancata, senza occhi e senza lingua». L’indagine prosegue, tra colpi di scena e parziali verità, fino a riannodare la trama di eventi apparentemente slegati e a far riaffiorare all’Asmara, futura capitale della colonia d’Eritrea, il clamoroso scandalo della Banca Romana del 1893, insabbiato dopo aver coinvolto le altissime sfere del Regno d’Italia, tra ingerenze di “maffia” e collusioni finanziarie e politiche.
Con “Albergo Italia” Carlo Lucarelli, che all’abilità nel tessere trame coniuga la capacità di andare oltre le forme canoniche, torna al genere da lui inaugurato con la trilogia del Commissario De Luca, ambientata tra la fine della Repubblica di Salò e la nascita della Repubblica italiana, quel “giallo italiano” in cui si incrociano storia e cronaca nera. Così che anche questo romanzo «è un tassello di quella sorta di archeologia del presente che Lucarelli pratica attraverso i suoi libri e con le trasmissioni televisive in cui mette in fila i misteri d’Italia in un quadro unitario che dà senso a ciò che sembrerebbe non averne», come ha scritto Cristina Taglietti su il Corriere della Sera.