MobyCult, appuntamento con Mario Giordano e il suo "Non vale una lira"
Sabato a MobyCult Mario Giordano, direttore del TG4, presenterà “Non vale una lira. Euro, sprechi, follie: così l'Europa ci affama” (Mondadori) ovvero come e perché sia ora di dare addio all’euro. A ragionarne con lui sarà Raimondo Baldoni, direttore di La Voce di Romagna. Dopo aver denunciato le “Sanguisughe. Le pensioni d'oro che ci prosciugano le tasche” (Mondadori, 2011), gli “Spudorati. La grande beffa dei costi della politica” (Mondadori, 2012) e aver intimato “Tutti a casa! Noi paghiamo il mutuo, loro si prendono i palazzi” (Mondadori, 2013) l’ex direttore di Il Giornale e Studio aperto in “Non vale una lira” muove dalla constatazione che «l'idea di costruire l'Unione sulla base economica, pensando che la politica potesse essere trascinata, sta rivelandosi un fallimento».
Non solo perché – continua la presentazione del libro su lafeltrinelli.it - «manca una politica sociale europea, una politica dell'immigrazione europea, manca persino una politica di difesa comune», mentre la nostra politica economica è sempre meno autonoma e in dodici anni il reddito medio dei cittadini inglesi è aumentato del 7% e in Italia calato del pari. Ma anche perchè «Bruxelles è diventata, nel corso degli anni, un concentrato di nefandezze e assurdità, il simbolo dell'inefficienza e delle richieste folli, della lontananza dai cittadini e delle leggi da manicomio. Dall'euro alla neuro, il passo è stato breve», osserva Giordano. E l’insoddisfazione verso la moneta unica è oggi condivisa dal 74% degli italiani, secondo il rapporto Ipsos-ACRI 2013.
Sfuggendo il rischio della demagogia, Mario Giordano fa parlare numeri che, come ha scritto su ilgiornale.it, non lasciano dubbi: «Nel 2013 l'Italia ha versato nelle casse dell'Unione europea poco meno di 15 miliardi di euro. Ne ha incassati poco più di 9. La differenza è lampante come la fronte del tenente Kojak: ci abbiamo perso 5,7 miliardi». E se si va indietro, si scopre che è sempre stato così: «5,2 miliardi persi nel 2012, addirittura 7,4 nel 2011, 6,5 nel 2010, 7,2 nel 2009, 3,5 nel 2007… In dieci anni, fra il 2003 e il 2013, abbiamo versato nelle casse di Bruxelles 159 miliardi. Ne abbiamo ricevuti 104 (…). Ammettiamolo: checché ne dicano, l'Europa non è mai stata un buon affare per l'Italia». Alle dolenti note del bilancio corrente si aggiungono quelle «dei fondi straordinari, che perlopiù siamo incapaci di utilizzare» e il costo dell’esercito degli eurodeputati, ognuno dei quali «percepisce 8.000 euro di retribuzione, più 4.299 di spese generali, più un'indennità di 304 euro per ogni giorno di lavoro», per non parlare dei fondi per gli assistenti, d’un nutrito elenco di benefit, del “maxistipendio degli euroburocrati” e delle sedi sparse in tutto il mondo: 139, con 5366 addetti.
Il tutto per sostenere l’Europa “dei diktat e delle troike”, delle “leggi assurde”, «delle 60 pagine di rapporto tecnico sul Wc (due anni di studio, 90.000 euro di spesa) per stabilire la formula dello sciacquone perfetto, l'Europa che si preoccupa del passaporto dei furetti croati, della peluria del cavolfiore (dev'essere “leggerissima”), della lunghezza delle banane e della curvatura dei cetrioli» (librimondadori.it). Certo, non quella del sogno europeo dei nostri padri costituenti. L’antidoto? Uscire dall’euro, subito e con una meditata exit strategy, per aiutare l’Italia a superare la crisi economica che sta vivendo.