Con "Skianto" inizia la stagione del Teatro della Regina di Cattolica
Parte con Skianto, di e con Filippo Timi, la nuova stagione del Teatro della Regina di Cattolica, curata anche quest’anno in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione. L'appuntamento è in programma domenica alle 21.15. La stagione comincia con quello che è considerato tra gli interpreti più brillanti e originali della scena contemporanea. Attore di teatro e cinema, scrittore e poeta, personaggio tivù, pittore a tempo perso, musicista in erba, acrobata: Timi porterà sul palco della Regina Skianto, un intimo monologo, una favola amara, un testo spiazzante che mescola rabbia e dolore ad una esilarante ironia-pop che caratterizza gli spettacoli di Timi.
LA TRAMA - Una lesione cerebrale, che pare farti vivere in un altro mondo. Un bambino chiuso in se stesso, non articola le parole, non cammina, non riesce a esprimere quel che ha dentro. Spesso accade e ce lo si chiede: “Chissà cosa pensa?” Timi prova a entrare lì dentro, in quello che crede possa esservi, i desideri della normalità e quelli dei sogni: ballare come Heather Parisi e Miguel Bosè, cantare come Renato Rascel, muoversi come un pattinatore, con Candy Candy in sottofondo. La disabilità che si fatica a comprendere in fondo ci chiede questo: ascolto.
La storia personale di Timi è intrisa di disabilità. C’è la sua balbuzie, e l’incredibile dote di tanti attori che la vedono scomparire in scena, c’è l’ipovedenza. E c’è la cugina Daniela, “nata con la scatola cranica sigillata”. Il sogno di Filippo bambino era che lei gli dicesse: non sono mica così. Che bello se un giorno lo avesse preso da parte e gli avesse sussurrato all’orecchio, giusto perché sentisse solo lui: “Filo, io capisco tutto, è che zio e zia si sono abituati così e io lascio fare. Fingo. A loro va bene così. Quindi tu parlami. Parlami”. E Filippo raccontava storie a quella bimba. Ma lei quelle parole non gliele disse mai. Cosa pensa non lo sa nessuno. O forse sì.
Timi ci ha provato. Ha trasformato quei silenzi. Ha reso parola quegli sguardi. Lo ha fatto con gli strumenti che ha: scrivere, cantare, recitare in un monologo intenso e difficile, ma che ti tiene lì a vedere, ti fa ridere e commuovere, ti spinge un po’ più in là del sentire comune. Skianto, con glitter e k anni’80, è una bella opera sulla disabilità, in mezzo fra teatro civile e di sentimento, una storia fatta di parole mai dette ma soltanto pensate, di intensi sentimenti costretti a restare inespressi, di sogni grandi e belli ma destinati a rimanere tali. Filippo ci racconta una vita pronta a spiccare il volo a ogni passo, ma obbligata a rimanere inchiodata a un letto, a una sedia, alle braccia di un genitore, per colpa di un destino crudele che si chiama disabilità. E la disabilità non è nascosta, è esibita nell’intimo, quello più difficile da scoprire, di un bimbo cerebroleso grave. Sulla scena prende così vita la doppia dimensione di questa vita: la prima, quella interiore, piena di vivacità e colori, di gioia di vivere ed emozioni; la seconda, quella per così dire reale, grigia e immobile, triste e silenziosa. Tutto ciò esplode con la consueta ma sempre sorprendente carica pop cui Timi ci ha abituati con il suo teatro.
Nelle parole dell’autore e interprete “Skianto è la bocca murata. È il racconto di un ragazzo disabile che ha il cancello sbarrato. Io spalanco quella bocca in un urlo di Munch. Gli esseri umani sono disabili alla vita. E siamo tutti un po’ storti se ci confrontiamo alla grandezza della Natura. Esiste una disabilità non conclamata che è l’isolamento, l’incapacità di fare uscire le voci”.