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Rimini, pecora nera per le “spiagge negate”

Per il dossier di Legambiente il 77% della spiaggia romagnola risulta occupata e la provincia riminese da sola conta circa 700 bagni privati

Legambiente le chiama le spiagge negate. Senza scendere a compromessi lessicali, l’associazione ambientale battezza così nel rapporto “Mare nostrum 2013” il problema dell’accessibilità alle spiagge nazionali, denunciando la distesa di stabilimenti balneari che, dal Tirreno all’Adriatico passando per lo Jonio, impediscono la possibilità di arrivare al mare o riducono a pochi metri le spiagge dove si possa stare gratuitamente.

In tutto, si legge sul Rapporto, sono circa 12mila gli stabilimenti balneari sulle coste italiane, con una occupazione complessiva di circa 18 milioni di metri quadrati. L’Associazione lo chiama “l’affare d’oro delle concessioni”, evidenziando la sproporzione tra gli introiti che da questa attività vengono percepiti dallo Stato e quelli che entrano nelle tasche dei privati, stimati in 100 milioni per l’erario contro 2 miliardi per i privati. E questo, sottolinea Legambiente, senza che i prezzi per i cittadini siano particolarmente a buon mercato.

Non sfugge agli strali di “Mare Monstrum” l’Emilia-Romagna con i suoi 130 km di costa super attrezzata e la pecora nera è proprio Rimini. Il 77% della spiaggia romagnola risulta occupata e la provincia riminese da sola conta circa 700 bagni privati su un totale di 1400 stabilimenti, 3.300 alberghi su un totale regionale di 4.500 (nel comune di Rimini sono situati circa un quarto degli esercizi e dei posti letto della Regione), 64mila alloggi privati, fatti prevalentemente di seconde case, su una fascia costiera che dal 1945 a oggi ha visto passare l’occupazione delle aree urbane dal 7 al 33% del territorio.

Per inciso, la situazione delle spiagge nel resto d’Europa è profondamente differente, dal momento che gli altri Paesi si stanno adeguando alla direttiva Bolkenstein, rispettando una durata massima delle concessioni e il principio di affidamento tramite bando di gara, che tenga in conto criteri economici ma anche ambientali.

Legambiente ribadisce la necessità urgente di promuovere un rinnovamento profondo nel settore, che possa garantire la tutela delle coste e la loro fruibilità da parte di tutti i cittadini. Gli obiettivi prioritari sono identificati in un sistema di gestione trasparente e di tutela del demanio, con l’auspicio dell’introduzione di limiti all’occupazione dei litorali con concessioni, e nell’adeguamento dei canoni di concessione per investire nella tutela ambientale, con l’introduzione di un canone minimo a livello nazionale. I dati riportati registrano infatti, per il 2009, un’entrata complessiva per le casse dello Stato di 103 milioni di euro, ovvero un incasso medio di 5 euro e 72 centesimi all’anno per ogni metro quadrato di spiaggia dato in concessione.

Nel suo ideale Disegno di legge per la Bellezza, l’Associazione vorrebbe almeno salvare dalla cementificazione sregolata le coste ancora libere dall’edificazione, che troppo spesso gli speculatori considerano libera terra di conquista. E vieta qualsiasi nuovo intervento edilizio per mille metri di profondità dalla battigia. Almeno dove ancora si è in tempo.
 

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