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Cronaca

Gianni Indino contro le feste in campagna organizzate dalle aziende agricole e agrituristiche

Per il presidente della Confcommercio "nascondono spettacoli e ballo, mascherando dietro l’innovazione dell’offerta turistica iniziative senza regole"

Tornano nel mitino del presidente della Confcommercio della provincia di Rimini, Gianni Indino, le feste in campagna organizzate dalle aziende agricole e agrituristiche. Appuntamenti che, per Indino, "nascondono spettacoli e ballo, mascherando dietro l’innovazione dell’offerta turistica iniziative senza regole, in cui si balla senza autorizzazione e si somministrano alimenti e bevande in luoghi non adeguati". “La ristorazione in tutta la provincia di Rimini, da Cattolica a Santarcangelo, da Novafeltria a Bellaria, subisce un attacco sempre più prepotente da parte di imprenditori che stanno di fatto alterando il mercato. Un pericoloso gioco al massacro – dice Gianni Indino, presidente di Confcommercio della provincia di Rimini -, perché i soggetti in campo non sottostanno alle stesse regole e dunque non gareggiano ad armi pari. Le feste in campagna organizzate dalle aziende agricole e agrituristiche sono vere e proprie cene a cui spesso si aggiungono spettacoli e ballo, mascherando dietro l’innovazione dell’offerta turistica iniziative senza regole, in cui si balla senza autorizzazione e si somministrano alimenti e bevande in luoghi non adeguati. Il tutto a discapito di sicurezza, igiene degli alimenti, livelli minimi di servizi igienici, accessi per i disabili, “Safety e Security”, rischiando anche di mettere a repentaglio la salute degli avventori. Senza poi volersi addentrare in serie domande dal punto di vista fiscale.
Qui non si mette in discussione l’appeal di queste iniziative, né si chiede che vengano impedite, ma non possiamo soprassedere su cosa sta succedendo praticamente ogni sera sulle nostre colline e sulla mancanza di regole e di controlli, ai quali invece sono costantemente sottoposti i pubblici esercizi autorizzati. Le Leggi nazionali e regionali sono state pensate per valorizzare l’agricoltura locale e il turismo enogastronomico (non certo mojito, spritz e patatine fritte…), ma vanno rispettate a cominciare dagli obblighi sull’igiene degli alimenti, come ben specificato sia dal Decreto del Fare del 2013, sia all’art. 13 della L.R. 4/2009 e successive modifiche".

"Ristoranti, bar, pub, discoteche, offrono prodotti altrettanto importanti per il nostro turismo, ma sono legati ad adempimenti specifici, pressanti e inderogabili. Pagano tasse per ogni cosa: suolo pubblico, raccolta rifiuti, insegne, ombre, bolli su plichi di autorizzazioni. Balzelli infiniti che loro malgrado versano ai Comuni. Se mettiamo a confronto questi due tipi di attività, sembra che facciano impresa in due Stati diversi. Per un’imprenditoria e una società sane e una concorrenza leale non si può pensare che un competitor diretto possa fare ciò che vuole su terreni, aie, campi coltivati e non, senza sottostare ad alcun regolamento o controllo. Chi vuole sviluppare questo tipo di attività è libero di farlo, ma deve rispettare le stesse regole di chi fa lo stesso mestiere in altri luoghi". 

"Con che coraggio – si chiede il presidente Indino - possiamo incentivare gli imprenditori a investire nei loro locali, ad assumere personale, a continuare l’attività nonostante tasse e burocrazia? Cosa dobbiamo dire ai giovani che chiedono informazioni per aprire un nuovo ristorante? Dovremo consigliare loro di comprare un podere in campagna o un terreno agricolo e farci sopra quel che vogliono senza sottostare ad alcun vincolo? Sembra proprio questo il volere delle amministrazioni con le loro scelte. Non vorremmo che lo capissero solo quando i ristoratori del territorio inizieranno a ridare indietro le licenze di pubblici esercizi, diminuendo il personale e disinvestendo sull’attività.
Abbiamo provato a fare ragionare chi dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione delle normative ponendo le stesse regole per lo stesso mercato, ma evidentemente non ci siamo riusciti. Tutto questo nel silenzio assordante delle altre associazioni di categoria che dovrebbero tutelare i pubblici esercizi e che invece ci lasciano soli a combattere questa battaglia per certi versi scomoda. La misura però è colma e a questo punto, se non dovesse cambiare nulla, saremo nostro malgrado costretti a tutelare i diritti e interessi legittimi della categoria rappresentata presso le sedi ritenute più opportune”. 
 

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