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Cronaca

Indino: "Costi che triplicano, stipendi sempre uguali: un corto circuito che sta mortificando i consumi"

Il presidente Confcommercio della provincia di Rimini: "Serve un taglio netto al cuneo fiscale per migliorare le retribuzioni e innescare un circolo virtuoso. Meno tasse e più lavoro è lo slogan da mettere in pratica”

La situazione economica in Italia è fortemente sotto stress e, dopo la pandemia, i venti di guerra che stanno spazzando l'est Europa non hanno contribuito a migliorare le condizioni con una ripresa che sempre di più stenta a portare i suoi benefici. Sul fronte del conflitto in Ucraina le trattative languono e la spinta arrivata dall'aumento dei prezzi sulla struttura produttiva comincia a far paura. Sia ai cittadini, che dormono sonni inquieti aspettando la nuova bolletta di luce e gas (quelle di fine anno hanno già subito rincari pesanti), ma anche alle attività economiche che iniziano a temere che i contraccolpi sull'economia dell'escalation militare si trasformino invariabili incontrollabili. Timori concreti che creano incertezza e, sulla situazione, è intervenuto il presidente di Confcommercio della provincia di Rimini, Gianni Indino, che in una nota commenta come "Siamo in un momento molto delicato, ad un bivio tra le mille difficoltà che famiglie e imprese stanno continuando a vivere ogni giorno e una ripresa assolutamente da cogliere. Da una parte ci sono i costi della vita che aumentano, dal carburante alle bollette che stanno trascinando al rialzo l’inflazione, dall’altra gli stipendi che rimangono sempre uguali. Un corto circuito che sta mettendo in grave crisi i consumi interni, già fortemente provati dall’incertezza dovuta alla pandemia e alla guerra in corso".

"Una ricetta per superare questa impasse ci sarebbe - aggiunge Indino - e porta il nome di taglio del cuneo fiscale. Annoso e conosciuto argomento: in Italia il cuneo fiscale è talmente elevato da frenare l’occupazione e da mortificare i consumi. Quasi inutile fare esempi per capire la situazione, che è ogni giorno sotto gli occhi di tutti. In uno stipendio medio da dipendente sono circa 1.300 gli euro netti che vanno in tasca al lavoratore, ma per quello stipendio l’impresa sborsa una cifra quasi doppia. E doppio è anche il risultato negativo, ovvero un costo elevato per il datore di lavoro a fronte di una sostanziale insoddisfazione per il lavoratore che si ritrova stipendi inadeguati al momento che deve affrontare. Il governo ha inserito nell’ultima Legge di Bilancio alcune misure che vanno in questa direzione, ma gli effetti concreti non sono tangibili. Sempre più spesso i nostri dipendenti sono costretti a chiederci anticipi sugli stipendi per andare avanti e arrivare a coprire tutte le spese quotidiane. Ma in questo momento, pur volendo dare una mano, le nostre imprese sono attanagliate da spese enormi che assottigliano la liquidità impedendo di fatto di poter spostare risorse per utilizzarle in questo modo. Da qui la necessità urgente di ricorrere anche alla leva fiscale per favorire una migliore retribuzione dell’occupazione e consolidare in questo modo anche la crescita, in primis quella dei consumi, innescando un circolo virtuoso. La domanda interna, intesa sia come consumi sia come investimenti, va sostenuta. E per sostenerla, serve fiducia. Servono più risorse in busta paga per i nostri lavoratori e servono più risorse per le imprese chiamate a fare fronte a spese di gestione ingentissime. Sono così si possono rimettere in moto spesa interna e di conseguenza investimenti. Meno tasse e più lavoro è lo slogan da mettere in pratica”.

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