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Cronaca

Il memoriale di Monica Sanchi: "Sono colpevole di aver creduto a chi amavo"

La riccionese accusata di complicità negli omicidi di Lidia Nusdorfi e Silvio Mannina scrive un lungo memoriale dal carcere. "Non ho capito le vere intenzioni di Dritan"

Un memoriale di 5 pagine, scritto a mano dal carcere, per Monica Sanchi la riccionese accusata di complicità con Dritan Demiraj negli omicidi di Lidia Nusdorfi e Silvio Mannina. Attualmente detenuta presso il carcere di Forlì, dell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 30 maggio dal Giudice del Tribunale di Rimini, la donna deve rispondere di omicidio pluriaggravato in concorso e soppressione di cadavere in concorso. Nella giornata di mercoledì il legale della riccionese ha diffuso un memoriale della 35enne dove, la donna, parla a ruota libera del suo rapporto con Demiraj e delle condizioni carcerarie. "Sono colpevole - esordisce la lettera - di aver creduto alla persona di cui mi stavo innamorando e colpevole di non averlo fermato. Sono colpevole di aver attirato in quel modo il povero Silvio anche se, da come sapevo, era per ben diverse motivazioni e colpevole di non aver detto tutto e subito facendomi intimorire dalle minacce. Colpevole di non aver detto nemmeno alla mia famiglia la verità anche se l'ho fatto per un senso di protezione".

Memoriale di Monica Sanchi

Il memoriale va avanti con la descrizione dei primi 12 giorni di carcere, a Como, con il pensiero "sempre rivolto ai miei figli e ai miei genitori". La Sanchi prosegue con l'intenzione di smettere di "piangersi addosso. Risollevare la testa e affrontare con dignità e forza d'animo tutto quello che mi viene incontro. Ho trovato questa forza nella voglia di riabbracciare i miei figli e mi sono rialzata, ho sciacquato le ferite della prima battaglia persa e mi sono preparata per vincere questa guerra".  La riccionese ha anche affrontato il tema spinoso del suo trasferimento da Como al carcere di Bologna con il viaggio fatto nel "cellulare" insieme a Dritan Demiraj nel corso del quale le conversazioni tra i due sono state intercettate dagli inquirenti. Le microspie dei carabinieri, infatti, hanno captato i discorsi dell'albanese nei quali, l'uomo, intimava alla sua nuova compagna le direttive su cosa sarebbe stato meglio dire in fase di interrogatorio per non beccarsi la premeditazione. Inizia Monica Sanchi: “loro hanno detto che la cella del tuo cellulare agganciava uguale alla mia alla stazione quando io sono andato a prenderlo (il riferimento è a Mannina, ndr)”. Poi Demiraj dice in un italiano stentato: “mentre parlavamo si che te sei andata a comprare lo scotch”. E la Sanchi: “io questo non l’ho detto”. Demiraj: “no... non lo devi dire! Scotch era in macchina”. Sanchi: “era in casa... era in macchina!”. Demiraj: “o gli hai detto casa?”. Sanchi: “era in macchina”. Demiraj allora risponde: “andiamo in galera (qui addirittura l’albanese ride), siamo in galera, ma prendiamo premeditato”. Demiraj: “Hai capito, se te dovessi dire che lui c’aveva coltello e manette e se te dici che io ti ho detto a te (alla Sanchi, ndr) metti le manette (a Mannina, ndr) prendi l’ergastolo Monica... non devi dirglielo perchè per quanto io ti ho costretto le manette il coltello sono premeditato, perché loro dicono che avete studiato questa cosa... io ho detto che Monica non sapeva niente e neanche io avevo intenzione di ammazzarlo ho detto... anche io sono stato male... una volta che io ho finito ho raggiunto Monica che era a casa mia.. io ti ho detto che devo andare e io ti ho costretto e te sei venuta con me perché... normale non sapevo io usare le cose...come il navigatore... sapevi te... ma ti ho costretto io, no!? Attenzione”.​

Di queste conversazioni, nel memoriale la Sanchi non ne parla preferendo raccontare il suo stato d'animo alla vista di Demiraj. "In quell'istante un'esplosione di stati d'animo mi destabilizzano e prima che riesco a capacitarmi della cosa, lui sale e mi saluta come aveva già fatto mille volte prima dei tragici avvenimenti, così, come se niente fosse accaduto, come se fosse arrivato a prendermi per un uscita spensierata, con la sua faccia sorridente da bravo ragazzo. Il nostro viaggio dura più di 5 ore tra il suo fiume in piena di parole, mi parla tranquillamente mentre mi guarda tra le fessure delle sbarre. Ora sono qui che aspetto di sapere cosa ne sarà della mia vita  - conclude il memoriale. - La cosa che mi manca più di tutto è di poter abbracciare i miei figli, mi mancano più di ogni altra cosa al mondo. Per il resto sono pronta ad affrontare tutto perchè sono, ora più che mai, convinta che potrò perdere altre battaglie nella mia vita ma che, alla fine, la guerra mi vedrà uscire vittoriosa!!!".

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