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Economia

Irpef, la Cgil denuncia: "Aliquote passate da 4 a 3 senza alcun vantaggio per i redditi più bassi"

Secondo il sindacato, il Governo starebbe appiattendo gli scaglioni

Dal primo gennaio 2024 sono entrati in vigore i nuovi scaglioni dell'Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF).

Lo ricordano Francesca Lilla Parco di Cgile Rimini e Roberto Battaglia di Spi Cgil Rimini, precisando che il nuovo meccanismo suscita preoccupazione per gli effetti sui redditi da pensione e da lavoro dipendente. La progressività fiscale della tassazione, infatti, rischia di essere lentamente ma inesorabilmente compromessa, facendo la fine della “rana bollita” – per dirla con  Noam Chomsky.

Gli scaglioni

Pertanto per l’anno 2024 il reddito annuo è suddiviso in tre fasce con relative aliquote:
- Da zero ad € 28.000: aliquota del 23%
- Da € 28.000 ad € 50.000: aliquota del 35%
- Oltre € 50.000: aliquota del 43%

La principale modifica consiste nell'accorpamento del secondo scaglione (precedentemente del 25% per redditi tra € 15.001 ad € 28.000) nel primo scaglione; ora con un'aliquota unica del 23%. Sui redditi fino ad € 15.000 i benefici sono insignificanti, già vanificati dall’aumento del costo della vita e dall’eliminazione di vari bonus sociali. In provincia di Rimini, per quasi 40.000 pensioni di vecchiaia/anzianità di importo fino ad € 15.000 annui lordi, questa norma non porta alcun beneficio ed aumenta la sperequazione rispetto ai redditi più elevati. Così pure gli effetti sulla maggioranza dei redditi da lavoro dipendente, che si collocano in provincia di Rimini attorno ad € 17.000 annui lordi; i più bassi della regione Emilia-Romagna.

Questo appiattimento degli scaglioni è previsto peraltro in via sperimentale per il  solo 2024, generando confusione e sollevando interrogativi in un campo – quello fiscale – molto delicato; una riforma che secondo il Governo avrebbe dovuto essere epocale, si limita ad un anno e con incognite per il futuro dei più poveri. La norma così come congegnata contraddice l'articolo 53 della Costituzione Italiana, che sancisce il principio della progressività fiscale a garanzia dell’equità del sistema tributario.

La “Flat Tax” o tassa piatta: no al “tassapiattismo”

L'appiattimento degli scaglioni e delle aliquote sembra orientarsi verso la cosiddetta "Flat Tax", un sistema di tassazione con un'aliquota unica, priva di progressività. Tale approccio, senza adeguati contrappesi, rappresenta uno svantaggio per i redditi più bassi; una pratica non adottata in nessun paese dell'Europa occidentale. Si ponga il caso di un reddito imponibile di € 80.000 con una tassa piatta del 23%; in questa maniera si pagherebbe il 23% sia con un reddito di € 28.000 annui, che di € 80.000: una pura ingiustizia.

In Italia esiste un problema che si chiama evasione tributaria e contributiva che, secondo le stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Gap delle entrate, relazione 10/2023), ammonta mediamente ad € 96,3 miliardi nel triennio 2018/2020, principalmente derivanti da evasione Iva e Irpef d’impresa (mediamente € 58,2 miliardi). Forse prima che di tassa piatta o condoni, in questo Paese sarebbe ora di parlare di giustizia fiscale; dato che a pagare di più sono sempre dipendenti e pensionati.

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