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Economia

Inflazione, Rimini nella top ten delle città più care d'Italia

Con un +1,2% il capoluogo romagnolo segna un aumento più alto rispetto alla media del Paese che costa ai residenti 326 euro

L'Istat ha diffuso i dati sull'inflazione relativi allo scorso mese: secondo le stime, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, fa registrare un aumento dello 0,1% su base mensile e di 0,8% su base annua (confermando la stima preliminare), come nel mese precedente. Sui dati territoriali dell'Istat, l'Unione Nazionale Consumatori ha stilato la top ten di tutte le città più care d'Italia, in termini di aumento del costo della vita, sulla base dei nuovi dati del paniere dell'Istituto di statistica. Non solo, quindi, delle città capoluogo di regione o dei comuni con più di 150mila abitanti ma di tutte le città monitorate dall'Istat.In testa alla top ten delle più care d'Italia torna Bolzano, dove l'inflazione pari all'1,7%, la seconda più alta d'Italia dopo Brindisi, si traduce nella maggior spesa aggiuntiva su base annua, equivalente a 492 euro per una famiglia media, in aumento rispetto alla spesa che ci sarebbe stata con i vecchi dati Istat ora superati, pari a 452 euro. Medaglia d'argento per Brindisi, dove il rialzo dei prezzi del 2,1%, il record del mese di febbraio, determina un incremento di spesa annuo pari a 398 a famiglia. Terzo posto per Napoli che con +1,7% ha una spesa supplementare pari a 375 euro annui per una famiglia tipo (sarebbero stati 344 euro lo scorso anno).  Appena fuori dal podio Venezia (+1,4%, al 5° posto per inflazione, pari a 369 euro), poi Trieste (+1,4%, 342 euro), al sesto posto Firenze (+1,3%, +340 euro), poi Bologna (+1,2%, 334 euro), Pisa (+1,3%, 332 euro) e Rimini (+1,2%, 326 euro). Chiude la top ten Alessandria (+1,3%, +325 euro).

Invece, per quanto riguarda le città più virtuose, ce ne sono nove in deflazione.Nella graduatoria delle città più virtuose d'Italia, 9 città sono in deflazione. Tra queste vince Campobasso dove l'inflazione più bassa d'Italia, pari a -0,9% si traduce in un risparmio equivalente, in media, a 186 euro su base annua. Medaglia d'argento per Imperia, dove la diminuzione dei prezzi dello 0,7% determina un calo di spesa annuo pari a 157 euro per una famiglia tipo. Sul gradino più basso del podio delle città meno care, Pescara che con -0,7% ha un taglio delle spese pari a 156 euro annui per una famiglia media. In testa alla classifica delle regioni più "costose", con un'inflazione annua a +1%, il Trentino Alto Adige che registra a famiglia un aggravio medio pari a 284 euro su base annua. Segue il Veneto, dove la crescita dei prezzi dell'1,1% implica un'impennata del costo della vita pari a 274 euro, terza il Lazio (+1,1% e +269 euro). La regione meno cara è il Molise (-0,8%, -166 euro). Medaglia d'Argento per l'Abruzzo, sempre in deflazione (-0,2%, pari a -43 euro).

I dati diffusi dall'Istat contengono anche le variazioni dei prezzi dei diversi prodotti: in rallentamento risultano i prezzi degli Alimentari non lavorati (da +7,5% a +4,4%) e lavorati (da +4,5% a +3,4%), degli Altri beni (da +1,7% a +1,2%), dei Servizi relativi ai trasporti (da +4,2% a +3,8%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +3,3% a +3,2%) e dei Servizi relativi all’abitazione (da +2,8% a +2,7%); per contro, si attenua la flessione dei prezzi degli Energetici non regolamentati (da -20,4% a -17,2%) e regolamentati (da -20,6% a -18,4%) e accelerano quelli dei Tabacchi (da +2,2% a +2,6%) e dei Servizi relativi alle comunicazioni (da +0,2% a +0,8%).

Nel mese di febbraio l’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, decelera da +2,7% a +2,3% e quella al netto dei soli beni energetici da +3,0% a +2,6%. La dinamica tendenziale dei prezzi dei beni accentua la sua discesa (da -0,7% a -0,9%), mentre quella dei servizi resta stabile (a +2,9%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni pari a +3,8 punti percentuali, dai +3,6 di gennaio.

I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano su base tendenziale da +5,1% a +3,4%, come quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +3,5% di gennaio a +2,8%). La variazione congiunturale dell’indice generale è la sintesi di dinamiche opposte di diverse sue componenti: da un lato, l’aumento dei prezzi di Tabacchi (+2,3%), dei Servizi relativi alle comunicazioni (+0,5%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona e dei Servizi relativi ai trasporti (entrambi a +0,4%); dall’altro, la diminuzione dei prezzi degli Energetici regolamentati (-2,2%), degli Alimentati non lavorati (-0,5%) e degli Energetici non regolamentati (-0,4%).

L’inflazione acquisita per il 2024 è pari a +0,5% per l’indice generale e a +1,0% per la componente di fondo. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) registra una variazione congiunturale nulla e un aumento tendenziale di 0,8% (la stima preliminare era +0,9%), in lieve diminuzione da +0,9% di gennaio. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra una variazione congiunturale nulla e un aumento su base annua di 0,7%, conclude l'Istat.

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