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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Lavoro, più della metà degli italiani vuole cambiare

Scarsa crescita professionale e salari bassi sono alla base dell’insoddisfazione. Smart working promosso a pieni voti. Perde appeal il "posto fisso"

La pandemia è il fattore scatenante della voglia di cambiamento degli italiani. Al primo posto c’è il lavoro. Gli ultimi anni hanno sviluppato nelle persone il desiderio di avere un lavoro più compatibile con le esigenze di vita personale e più appagante sotto il profilo professionale ed economico. Il 55% dei lavoratori del Belpaese desidera una nuova occupazione perché insoddisfatta di quella attuale e il 15% si è attivato per cercare un altro impiego. A descrivere il sentimenti degli italiani e le evoluzioni in atto è l’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, condotta, in collaborazione con SWG; tema che sarà affrontato nel corso del Festival del Lavoro dal 23 al 25 giugno a Bologna, al Palazzo della Cultura e dei Congressi.

I motivi dell'insoddisfazione. Dai salari all'ambizione

Le cause scatenanti che provocano insoddisfazione (38,7%) e voglia di novità (35,4%) sono i salari bassi (31,9%) e le scarse opportunità di carriera (40,9%) piuttosto che la necessità dovuta alla scadenza del contratto (9,8%) o alla paura di perdere il lavoro (11,8%). Oltre al miglioramento retributivo e professionale il 49% degli italiani sono spinti al cambiamento e quindi alla ricerca di una nuova occupazione perché desiderano un maggiore equilibrio personale, livelli minori di stress e più tempo da dedicare a sé stessi.

Promosso lo smartworking

L’obiettivo di under 35 e 35-44enni è raggiungere il benessere individuale piuttosto che il miglioramento economico, complice anche i due anni di pandemia. In questo senso, lo smart working ha giocato un ruolo decisivo. Se nel 2021 gli stessi lavoratori da casa fornivano un giudizio ambivalente, evidenziando le criticità connesse al lavoro da remoto, nel 2022 ben l’84,2% dei lavoratori “agili” promuove a pieni voti questo modello, perché concilia lavoro e vita privata. Il 31,8% degli italiani non accetterebbe di tornare a lavorare in presenza, il 16,9% cambierebbe lavoro e il 9,3% potrebbe addirittura licenziarsi. Un modello, dunque, che si consolida e che cambia non solo il lavoro, ma anche la cultura sottostante. Il 50,2% dei lavoratori dipendenti preferirebbe, infatti, essere valutato sui risultati piuttosto che sull’orario di lavoro.

Non solo smart working. La pandemia ha innescato una forte accelerazione tecnologica, “costringendo” anche i lavoratori più resistenti a fare i conti con le nuove modalità. Il 61% degli intervistati afferma che la rivoluzione tecnologica ha cambiato il lavoro; una percentuale minoritaria (13,9%) invece la boccia, perché ha reso il lavoro più complicato (14,6%) e disumano (11,1%), con la perdita di valore delle persone e delle relazioni. Ma i mali del lavoro non derivano solo dalle condizioni economiche.

La precarietà

Dopo gli stipendi troppo bassi (56,7%) e la tassazione elevata (43,9%), è la scarsa meritocrazia del sistema (33%) l’altra criticità: tema avvertito con maggiore urgenza rispetto a quello della precarietà, soprattutto dai giovani. L’idea del “posto fisso” perde dunque appeal. Per quanto un lavoro sicuro resti un obiettivo irrinunciabile per chi sta cercando una nuova occupazione (25,3%), l’assenza di meritocrazia limita ancor di più i pochi spazi di crescita esistenti.
 

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