rotate-mobile
social

Le antiche osterie raccontano la storia della ricettività riminese

Ancor prima della nascita del turismo balneare, Rimini ha una "vocazione" ad ospitare i pellegrini e viandanti nelle numerose osterie

Rimini prima di essere una località balneare era un luogo che accoglieva e ospitava i viaggiatori. La soria della nascita delle osteire ci racconta coma il terrirorio riminese fin dall’antichità aveva una "vocazione" all'accoglienza e le osterie erano il luogo dell'ospitalità.

Rimini luogo di passaggio

Rimini era un punto di ritrovo, un luogo di transito e di passaggio obbligato per chiunque dovesse dirigersi a Roma (o da Roma raggiungere, via terra, qualunque Paese Europeo). Un via vai dovuto anche per la sua posizione geografica e per il fatto che da qui si irradiano le tre strade più calpestate dell'antichità: la Flaminia, l'Emilia e la Popilia. Rimini si dota, quindi, precocemente di una fitta rete di osterie, locande e stazioni di posta.

Questo anche perchè le osterie erano il luogo dello scambio, uno scambio non necessariamente economico: ci si potevano trasmettere aneddoti, esperienze, idee. Erano il luogo in cui ci si riposava, conversava, rifocillava. Era anche il luogo dove terminare la propria vita.

A raccontarci dello sviluppo della “ricettività" riminese nei primi decenni del XVII secolo fu il santarcangiolese Giacomo Antonio Pedroni, canonico della Cattedrale di Santa Colomba, cronista minuzioso e curioso degli avvenimenti importanti e dei fatti spiccioli di Rimini agli inizi del Seicento.

Rimini, nei primi del Seicento, contava tra le venti e trenta osterie, oggi sostituite da alberghi e pensioni. Rispetto all’epoca il loro numero era molto alto. Normalmente prendevano il nome dalle insegne quasi araldiche che esponevano: un angelo, un leone, un'aquila, una corona, due spade. Quelle anonime, più rare, si intitolavano con il cognome o soprannome del proprietario, come avverrò per le pensioncine degli anni Cinquanta.

Le "categorie" delle osterie

Come oggi per le strutture alberghiere, le osterie di allora offrivano vitto e alloggio e si differenziavamo per "categoria”. Le più accoglienti ospitavano i personaggi importanti; le più trasandate i pellegrini e la soldataglia. La più blasonata era certamente l'osteria della Rota, in piazza della Fontana (oggi piazza Cavour), gestita da un certo Senso Volta. Qui sostavano, quando non erano ospitati dalla nobiltà locale, i viaggiatori d'alto bordo. Nella stessa piazza si ritrovavano l'osteria del Lion d'Oro e, naturalmente, l'osteria della Fontana, condotta dalla famiglia Massi.

Due, più modeste, erano ubicate nell'odierna piazza Malatesta, nei pressi della vecchia Cattedrale: quella di "Grillino" e quella di Federico Federici. 

In piazza Sant'Antonio (oggi piazza Tre Martiri) erano aperte tre osterie di medio livello: l'osteria di San Giorgio, l'osteria dell'Angelo e l'osteria delle Due Spade. Due, più a buon mercato, si trovavano nella contrada dei magnani (cioè dei calderai: l'odierna via Garibaldi): l'osteria delle Due Spade, omonima della precedente, e l'osteria Venezia.

In borgo San Bartolo, fuori delle mura (oggi via XX Settembre), si affacciavano tre osterie: l'osteria del Cavalletto, della Corona e della Regina; non lontano, accanto alla stazione di posta, lavoravano l'osteria della Posta e quella dell'Aquila. Qui vi alloggiava chi non aveva tempo, denaro e le carte in regola per entrare in città.
Le osterie più economiche erano situate nei pressi del porto ed ospitavano i viaggiatori in barca, perlopiù gente modesta. Qui c'erano l'osteria Al Lioncino, gestita da un certo "Bedino", e l'osteria dell'Angelo, di Domenico Del Dito. 

Nel borgo di San Giuliano le osterie erano tre, tutte mediocri: quella di Francesco detto "Cachino", quella di Simone e l'osteria di San Giorgio. 

In uno dei luoghi più malfamati della città, la porta di Marina, frequentata nottetempo da prostitute, ladruncoli e vagabondi (e sbirri), si trovava la cantinaccia di "Mamalucco".

Come sappiamo nelle osterie si pernottava e si mangiava. Si può immaginare che il menù variasse molto tra le migliori e le peggiori. In generale, si offrivano pochi e semplici piatti. 

Un'osteria di San Giovanni in Marignano serviva, nel 1544, una "menestra de tagliategli".

Agli ospedali si preferivano le osterie

Giacomo Antonio Pedroni compila lunghi elenchi di forestieri morti nelle osterie riminesi: viandanti ammalati, soldati feriti e, soprattutto, pellegrini sfiancati. Numerosissimi sono quelli che spiravano mentre andavano o tornavano dal santuario di Loreto. Gli osti accoglievano senza nessuna difficoltà i passeggeri ammalati, anche gravemente: per carità cristiana e perchè, in caso di morte, "ereditavano" tutto quello che la buonanima aveva indosso.
 

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Le antiche osterie raccontano la storia della ricettività riminese

RiminiToday è in caricamento