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Cronaca

Discoteche al palo: "A Ibiza programmano l'estate, qui non sappiamo cosa accadrà a febbraio"

Il presidente della Silb-Fipe Gianni Indino: "Restare chiusi ha comportato spese fisse mensili per 30mila euro, gli attuali ristori sono un insulto alle imprese"

“A Ibiza stanno programmando per l’estate. Qui non sappiamo nemmeno se tra una settimana potremo riaprire”. Si naviga a vista. In un clima di incertezza generale. Gianni Indino, presidente del Silb-Fipe, l’associazione che riunisce i locali di intrattenimento e da ballo, torna alla carica. Era l’inizio delle festività natalizie quando discoteche e locali da ballo si trovavano costretti a chiudere forzatamente i battenti. Ancora una volta. Con le serate per il Capodanno già programmate. La data di stop è fissata da decreto fino al 31 gennaio. Manca una settimana esatta e ancora non è chiaro cosa accadrà dal 1° febbraio: “Non si sa nulla – dice Indino -, senza un nuovo decreto in teoria, ma anche nella pratica, il 1° febbraio si può riaprire. Ma non si può programmare nulla, perché non ci sono comunicazioni ufficiali a riguardo”.

Indino punta il dito sul fatto che altrove si sta facendo programmazione. E sul fatto che una discoteca chiusa, ed è una media che colpisce in maniera simile tutti i locali della Riviera, comporta spese fisse per circa 30mila euro al mese a fronte di ristori per 10mila euro. La Silb-Fipe guarda alla Spagna e a una terra di divertimento come l’isola di Ibiza: “Ad Ibiza locali come Amnesia, Pacha, Ushuaia e Dc10 hanno già annunciato le date di inaugurazione per la primavera. Noi lo faremo quando tutti hanno già prenotate le vacanze? Ai nostri imprenditori rimangono solo le spese da affrontare.

Quanto costa restare chiusi

Il Silb-Fipe ha svolto un’analisi sui costi medi fissi di una sala da ballo. Un salasso economico che già deve fare i conti con i precedenti due lockdown e con due anni dove si è lavorato con il contagocce. Ad oggi una discoteca chiusa produce costi per circa 30mila euro. Il gestore di una discoteca deve affrontare una spesa mensile per l’affitto di circa 15mila euro, a cui si aggiungono numerosi altri costi, a cominciare da quelli dell’energia. Se fino a qualche mese fa una bolletta dell’energia elettrica pesava per circa 2.000 euro al mese, ora questo costo è schizzato alle stelle. “Un esempio su tutti: un noto locale nel luglio di quest’anno, stando aperto tutte le sere, aveva pagato l’energia elettrica 4.122 euro mentre a dicembre, rimanendo aperto un terzo dei giorni, ne ha pagata una da 5.244” denuncia Indino.

Per un locale annuale, la bolletta del gas fino all’anno scorso pesava circa 1.300 euro al mese e ora ci sono i rincari. La telefonia è una voce di spesa da circa 600 euro al mese, quella dell’acqua di circa 200 euro. I costi per i dipendenti e i collaboratori circa 5.000 euro al mese. Poi ci sono tutti i costi annuali, da quello delle assicurazioni a quello per la contabilità di impresa: al mese entrambe queste voci pesano circa 1.000 euro ciascuna. Imposte, sempre diviso per mensilità: la Tari costa 1.500 euro al mese, l’Imu 1.300, l’imposta sulle insegne altri 350 euro, i contributi circa 1.500 euro al mese. A tutte queste spese fisse fanno aggiunti i costi bancari, quella per le manutenzioni ordinarie, dalle caldaie agli estintori giusto per fare due esempi pratici, fino a quelle per le sanificazioni e il riavvio dell’attività dopo le chiusure. Il totale sfonda il muro dei 30.000 euro al mese.

Presa di posizione

“Le cose devono cambiare in fretta – conclude il presidente Indino -. Continuiamo a chiedere a gran voce ormai da anni un tavolo di concertazione in cui parlare di misure strutturali per il settore. La nostra dignità di imprenditori è stata calpestata; non siamo un comparto di serie B e vogliamo rispetto per la nostra professione e per le nostre imprese. Come si evince dai costi, i 10.000 euro una tantum messi in campo dal governo con l’ultimo decreto sono un insulto ai lavoratori e alle imprese di questo settore”.
 

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